Si è tenuta a Managua, capitale della nazione centroamericana, la cerimonia di insediamento o, meglio ancora, di reinsediamento di Daniel Ortega alla presidenza della Repubblica del Nicaragua.
Per il leader del Fronte sandinista di liberazione nazionale (FSLN) si tratta del quarto mandato consecutivo, a cui bisogna aggiungere il primo che lo vide in sella dal 1985 al 1990. Dal 2007 senza rivali anche lo scorso 7 novembre Ortega ha trionfato ottenendo quasi il 76% dei consensi espressi dal 65% della popolazione nicaraguense recatasi alle urne.
Il trionfo personale è stato accompagnato da quello del partito di governo in grado di eleggere 75 deputati sui 91 che compongono l’Assemblea Nazionale. Una maggioranza stracciante che consentirà ai sandinisti di governare per i prossimi cinque anni senza problemi potendo varare anche riforme costituzionali che necessitano del voto favorevole dei 2/3 del Parlamento.
Al fianco di Ortega nel ruolo di vicepresidente ci sarà per la seconda volta consecutiva la moglie Rosario Murillo, più giovane di sei anni rispetto al marito e della quale si parla già come della possibile erede designata alla candidatura alla massima carica istituzionale del Paese nel 2026.
Facente parte dell’Alleanza Bolivariana per le Americhe, il Nicaragua è annoverato da alcuni anni nella lista degli “Stati canaglia” dalle amministrazioni statunitensi, tra le quali quella dell’attuale presidente Joe Biden, che dopo aver provato a sostenere la rivoluzione colorata del 2018 hanno ripreso la politica delle sanzioni personali contro i rappresentanti del governo sandinista e delle restrizioni in ambito commerciale ed economico verso il Paese.
Alla cerimonia, tra i delegati delle nazioni presenti, ha spiccato la presenza dell’alto funzionario del Partito comunista cinese Cao Jianming, in rappresentanza del presidente Xi Jinping, che ha fatto seguito alla decisione dell’esecutivo di espellere l’ambasciatore di Taiwan e troncare ogni legame con l’isola per stringere legami commerciali ed economici con Pechino.
Tra le altre delegazioni, appena una ventina, non sono mancate quella della Corea del Nord, dell’Iran, della Russia, della Siria, della Bielorussia, della Turchia, del Vietnam e degli altri Paesi dell’ALBA tra i quali Bolivia, Venezuela e Cuba.