Quanto sta avvenendo in Nicaragua somiglia sempre più alle violenze di piazza con cui lo scorso anno, per mesi, i gruppi della destra neoliberista venezuelana cercarono di far cadere il governo di Nicolas Maduro.
Le violenze in questo caso sono iniziate in seguito al processo di riforma pensionistica che seppur non in linea con le misure socialiste del governo in carica non appariva come una manovra lacrime e sangue.
http://www.oltrelalinea.news/2018/04/25/le-riforme-pensionistiche-infuocano-lamerica-latina/
L’occasione è stata colta al volo da un’opposizione costretta all’irrilevanza negli ultimi anni dai risultati elettorali. Il presidente Ortega, infatti, che sui media italiani e occidentali viene definito come un dittatore privo di consenso, è espressione del Fronte Sandinista di Liberazione Nazionale (FSNL) che sconfisse prima la dittatura della famiglia Somoza e poi i guerriglieri Contras finanziati dagli Usa.
Dopo esser stato presidente tra il 1985 e il 1990 Ortega è tornato alla presidenza vincendo le elezioni del 2006 ed ha poi modificato la legge elettorale per poter partecipare alle successive tornate elettorali nel 2011 e 2016 in cui ha aumentato a dismisura il divario con gli altri candidati e, di pari passo, il proprio consenso, giunto prima al 62,5% e poi al 72,4%.
Anche in occasione delle recenti elezioni amministrative il partito degli ex guerriglieri e dell’attuale presidente è stato di gran lunga il più votato conquistando, nel novembre 2017, ben 140 dei 153 municipi al voto.
I nemici di Ortega, nonostante l’enorme popolarità del settantatreenne leader, e della nazione centroamericana non provengono solo dall’esterno. A schierarsi da subito contro il provvedimento sulle pensioni e a favore dei dimostranti è stata la Chiesa cattolica che, seppur ridotta nei numeri dall’alto tasso di adesione alle congreghe evangeliche, risulta ancora la prima confessione per numero di fedeli nel continente latinoamericano.
Se i nemici interni si sono dichiarati fin dall’inizio delle violente manifestazioni antigovernative non c’è bisogno di grandissima immaginazione per comprendere a chi gioverebbe un regime change nella nazione dell’America centrale.
Il Nicaragua, infatti, è uno dei principali membri dell’Alleanza Bolivariana per le Americhe (ALBA) che ostacolò il progetto dei trattati di libero scambio fortemente voluti dagli Stati Uniti con il Centro e il Sudamerica.
Sempre in politica estera solo lo scorso anno si è riaperta la possibilità concreta di sviluppare un canale parallelo a quello di Panama la cui realizzazione verrebbe affidata alla Cina, il principale nemico commerciale dell’attuale amministrazione della Casa Bianca.
Quanto alla sfida dei numeri nel braccio di ferro sulla “chiamata alle armi” tra opposizioni e governo le immagini del 19 luglio, data simbolo che ricorda l’ingresso nel 1979 dei sandinisti nella capitale Managua, sembrano chiarire ogni dubbio. Sono state quasi cinquecentomila, in un Paese con poco più di sei milioni di abitanti, le persone che hanno deciso di scendere al fianco di Ortega in piazza contro i nemici del passato che provano ad affacciarsi nuovamente alla ribalta.