Quando nel 2006 Arturo Pérez-Reverte pubblicò il suo quindicesimo romanzo affermò in un’intervista: “Credo di essere uno scrittore, non più soltanto un lettore che scrive libri”.
Giorgio Ballario, con il suo “Niente di Personale” (Edizioni del Capricorno, pp. 218, €9,90) che è uscito oggi con La Stampa e in tutte le librerie per la collana Piemonte in Noir, credo che si possa definire definitivamente un “giallista”, visto che è ormai giunto al suo decimo romanzo poliziesco.

La nuova storia non riguarda il maggiore Morosini dei reali carabinieri e le sue indagini nell’Africa Orientale Italiana, né l’investigatore italo argentino Hector Perazzo. Il nuovo protagonista è Dante Finazzi.
Chi è Dante Finazzi? È un assassino che lavora su commissione, un professionista serio, affidabile, discreto. In oltre vent’anni di “onorata carriera”, non ha mai sbagliato un colpo, tanto da guadagnarsi la fama di essere il migliore sulla piazza.
Alcuni suoi “lavori” hanno rasentato la perfezione: come quando ha eliminato un imprenditore nella sua vasca da bagno. Un lavoro talmente “pulito” che gli inquirenti hanno archiviato immediatamente il caso come suicidio.
Ma Finazzi si avvicina ai cinquant’anni. Percepisce che la sua carriera non può durare in eterno. Pertanto quando una fantomatica organizzazione gli commissiona l’ennesimo omicidio, in lui si fa lentamente strada la tentazione di smettere. Accetta l’incarico, ma decide che sarà l’ultima volta. E già sogna di sistemarsi altrove, su un’isola dei Caraibi o in un paese sudamericano a godersi la “meritata pensione”.
D’altra parte non ha legami, né famiglia, né amici. Forse qualche rimpianto, ma per uno come lui i rimpianti sono un lusso che non ci si può permettere. Ma anche quello che dovrebbe essere l’ultimo incarico gli crea più di un turbamento.
E se volete sapere di che cosa si tratta, sapete che cosa dovete fare…
Insomma, al di là dell’intrigo poliziesco, Ballario ci presenta un personaggio a tutto tondo, con i dubbi e le debolezze che si accompagnano alla crisi della mezza età e che, inevitabilmente, possono interessare e sconvolgere l’esistenza anche di un killer di professione.
Sullo sfondo scorre la Torino di oltre trent’anni fa. Infatti la vicenda si svolge nel giugno del 1990, quando nel capoluogo piemontese si svolsero tre gare del girone C dei Campionati del Mondo di Calcio, quelli delle “notti magiche” e dell’Italia di Schillaci, per intenderci.
Il protagonista percorre in lungo e in largo la città che, una volta tanto, non è sonnolenta e un po’ grigia come spesso viene rappresentata, ma si vivacizza per la presenza dei tifosi brasiliani, scozzesi e costaricani. Una Torino che, come spesso accade nei romanzi di Ballario, non fa semplicemente da sfondo al racconto, ma si trasforma in una protagonista certo secondaria ma non meno importante nello sviluppo della vicenda; e che così viene definita: “…una città […] più matrigna che madre, una metropoli cambiata troppo in fretta nel corso degli ultimi decenni e che, tuttavia, manteneva alcuni dei suoi peggiori difetti: la vocazione a obbedire a un monarca, l’incapacità di mettere a frutto l’intelligenza dei suoi figli migliori, l’immobilismo sociale che lasciava in mano alle solite cento famiglie le redini della città”.