Scopro che vi è un sito internet che vende titoli nobiliari… scozzesi. In pratica, si acquista, rigorosamente online, un appezzamento di terreno nelle terre de Scozia e, in automatica, si diventa membri di un Clan. E si eredita il titolo collegato a quel luogo.
Meraviglioso! Sembra una situazione uscita dalla penna di Woodhouse. Il Signor e la Signora Molloy, personaggi secondari che, però, compaiono in diversi cicli narrativi. Da quello de Jeeves, il geniale cameriere che cita Shakespeare e risolve gli imbrogli in cui sempre si caccia il suo datore, il fatuo Bertram Wooster, a quello di Blandings’Castle, con lo svagato Lord Emsworth e il suo maiale da competizione, l’Imperatrice. Mr. Molloy è un finanziere. Che vende azioni di pozzi petroliferi in qualche luogo remoto. E, ogni tanto, si chiede: chissà se esistono realmente? Certo, commenta, sarebbe ben strano…
E così può essere che, davvero, in Scozia, tra le Highlands, vi siano in vendita terreni e titoli nobiliari…anche se, sinceramente, sarebbe ben strano. Tuttavia, se questa pubblicità continua a comparire sui diversi Social più popolari – con tanto di esibizione di cornamuse, tartan e kilt ger lo più indossati da belle ragazze (comprese anche loro nel prezzo?) – non può che esservi che una sola spiegazione. È la domanda che fa l’offerta. E quindi vi sono clienti, potenziali e reali.
Allocchi! penserà qualcuno, facendo riferimento al rapace notturno della famiglia degli Strigidi, assurto, chissà perché?, a simbolo di stolto facile da imbrigliare. E, certo, di tali Allocchi è pieno il mondo, perché, come si suol dire, la mamma dei cretini è sempre incinta. E potremmo chiuderla qui.
Però c’è una cosa che mi colpisce. E m’induce a riflettere. Questo desiderio di…nobiltà. Come se un titolo fasullo, comprato online da qualche truffatore seriale, un Pasquale Zambuto 2.0, potesse cambiare la tua vita. E, soprattutto, ciò che sei.
Paradosso dei nostri tempi. Democratici, tanto democratici ed egualitari da pretendere di azzerare tutte le differenze. Tra i popoli. Tra le stirpi (proibito ormai usare il termine razze). Tra i sessi. Tutti uguali. Il melting pot globale. L’assenza di ogni identità. La negazione di tutte quelle differenze che, da sempre, sono state sale e lievito delle culture e delle storie.
Eppure, vi sono coloro che, nella loro semplicità, o se preferite stoltezza, sarebbero pronti a pagare per dire: io sono un Lord, un Conte. Un Duca.
All’inizio del XIII secolo, in Sicilia, alla corte di Federico II, si aprì un dibattito. Una discussione in versi. Fra poeti. Qual è la vera nobiltà? Quella del sangue o quella dello spirito?
Di lì a poco, Guido Guinizzelli disse che colui che si vanta della nobiltà della sua schiatta, è simile al fango. E che l’autentica nobiltà è solo quella del “Gentil Core”. Ma Dante, che pure al poeta bolognese doveva molto, non sembra sempre concordare con lui. Non in questo, almeno. “La gente nova e dai facili guadagni…” il disprezzo, non celato, per questi ultimi arrivati che hanno ormai il potere nella città. E l’orgoglio di essere di stirpe antica. Discendente di quel Cacciaguida che cadde combattendo alla Crociata. Nobiltà di spada quella degli Alighieri. Non di denaro. Conquistata con il sangue, non con l’oro.
Poi, certo, vi era anche per lui il cuore gentile. Ma, in fondo e senza saperlo, concordava con Teognide. Dai cavoli non possono nascere le rose. Nietzsche, sul lirico greco, ha scritto pagine fondamentali. In “Genealogia della morale”. Sull’etica aristocratica, quella dei Buoni. E sulla non etica dei Cattivi. Cattivi, ovvero prigionieri. Dei propri istinti. Della propria avidità. Delle proprie paure. E, pertanto, incapaci di concepire qualcosa che vada oltre i loro, limitati ed egoistici, orizzonti… tradotto, incapaci di guardare al di là del proprio ombelico, per non scendere più in basso…
La Nobiltà, quella vera, è ormai solo un sogno. Un sogno per plebei che sono privi dell’orgoglio delle loro origini. Perché non sono più popolo. Solo massa amorfa. Servi non uomini, rovesciando una famosa frase di Seneca.
Mi torna in mente il Principe di Salina, il Gattopardo di Tomasi di Lampedusa. L’ironia distaccata con cui vede i nuovi ricchi, i nuovi potenti tutti presi dal cercare di nobilitare i loro, umili, natali. Di cui si vergognano.
Noi fummo i Gattopardi, i Leoni. Dopo di noi verranno le jene e gli sciacalli, dice fra sé e sé.
Previsione, amara, della nostra era.