La libertà d’opinione è salva, al senato non passa il Ddl Zan. Tutto un coro di entusiasmo trionfale, nel centrodestra, per aver bloccato una legge che avrebbe introdotto l’ennesimo reato d’opinione. Appunto, l’ennesimo. Per tutte le altre opinioni vietate si fa finta di niente, ma si festeggia perché – per il momento – si potranno ancora raccontare le barzellette sugli omosessuali. Solo in teoria, ovviamente, poiché nella pratica sono già vietate, e restano tali, in tv, al cinema, sui giornali, sui social, nelle chiacchiere tra amici al bar.
Così come sono vietate, ormai, le battute su qualsiasi argomento. Il pensiero unico obbligatorio vieta, infatti, ogni espressione che possa infastidire una categoria, un gruppo, una qualsivoglia minoranza e pure la maggioranza. Vietato esprimere opinioni discordi rispetto agli esperti di nulla trasformati in virologi. Persino Mattarella scende in campo indignato per difendere scienziati che scienziati non sono.
Vietatissimo definire qualcuno come “matto”, “cerebroleso”, “schizzato”, per non urtare la suscettibilità di chi, in famiglia, deve assistere un malato mentale. Per lo stesso motivo non si possono raccontare barzellette sui balbuzienti, su chi scivola su una buccia di banana, su chi sbaglia i congiuntivi, su chi puzza perché non si lava.
Nello sport è vietato mettere in dubbio la cristallina onestà degli arbitri, soprattutto se avvantaggiano sempre le medesime squadre. La sudditanza psicologica non esiste, è una fake. Però se le solite squadre tutelate in tv subiscono un torto arbitrale all’estero, allora gli arbitri di quel Paese sono tutti corrotti e pure cornuti.
Vietate le canzoni del passato in cui, per difendere i diritti delle popolazioni africane, si utilizzava un termine corretto del vocabolario italiano e non le definizioni imposte dalla stupidità americana e tradotte in italiano. Vietato parlar male di altri Paesi, a meno che non si tratti di Paesi e popoli che non piacciono al pensiero unico obbligatorio: in tal caso gli insulti sono permessi ed anche graditi.
Vietata ogni allusione al braccino corto degli abitanti di alcune regioni italiane (da espulsione immediata se l’allusione è riferita ad altro Paese, e poco importa se in quel Paese conoscono e praticano l’autoironia).
Insomma, è vietato scherzare, è vietato ridere. Perché la risata è pericolosa, può mettere alla berlina i potenti, può ledere il prestigio di chi se l’è costruito sul nulla. Ed ancor più pericolosa è l’autoironia, la capacità di ridere di se stessi, di non prendersi sul serio, di ironizzare sui propri errori. Chi sa ridere di sé non uccide il proprio partner se finisce una storia d’amore, non si deprime di fronte ad un insuccesso scolastico o lavorativo, non si perde d’animo di fronte alla prima difficoltà.
Invece ai sostenitori del pensiero unico obbligatorio la risata liberatoria non piace, proprio perché è liberatoria. Perché spezza le catene imposte dal potere.
E poi no, non è vero che non si può ridere sui difetti, anche fisici, di qualcuno. Su Giorgia Meloni si può scherzare, sulla vecchiaia e sui lifting di Berlusconi anche, sui vizi privati dell’ex guru di Salvini pure. E basta. Bisogna sapersi accontentare..