“Ma tu che sai fare? in cosa sei specializzato?”
Ci penso su un po’… poi
Niente. Non sono specializzato in niente.
Dialoghetto immaginario… anche se non del tutto. Perché questa domanda “in cosa sei specializzato?” è sempre più frequente. Anzi, insistente.
E la mia risposta è… sincera.
Perché scrivo su giornali da decenni. Ma non sono un giornalista. Ho insegnato italiano e latino per, circa, quaranta anni. Ma non sono un filologo latino, né un italianista..
Ho pubblicato un bel po’ di libri… anche di poesie. Ma non mi ritengo né un poeta, né uno scrittore di professione .
Mi occupo, da decenni, di studi geopolitici. E ho scritto molto in proposito, pubblicato in più di una lingua. Ma non sono un accademico, né un tecnico professionista della geopolitica.
Insomma, di fatto, non so far nulla.
Mi scuso per la digressione autobiografica. Ma mi serve per chiarire che, nella nostra epoca, se non sei uno specialista di qualcosa, dalla fisica quantistica all’allevanento di ornitorinchi, non sai fare nulla… ovvero sei un uomo inutile. Peggio, un uomo senza qualità. Tanto per scomodare Musil. Che aveva intuito, prima di tanti altri, come le qualità per vivere nel nuovo mondo che si andava affacciando, fossero significativamente diverse da ciò che, nel passato, era considerato l’uomo.
Diverse, e aliene. Perché, un tempo, l’Uomo non doveva essere specializzato in alcunché. Si pensi alla famosa definizione del vero civis romano. Vir bonus dicendi peritus. Ovvero esperto nel parlare… di tutto. Politica, economia, affetti, arti, scienze, agricoltura…
Cicerone si occupò di filosofia, scienza, arte, poesia… ma se avessimo la macchina del tempo di H.G.Welles, e andassimo a chiedergli cosa era, risponderebbe: un cittadino romano. E un uomo. Nessuna specializzazione. Solo gli schiavi erano, talvolta, specializzati. Ma, appunto, erano schiavi. Non uomini liberi.
E Dante? Scrisse la Commedia (mica la Vispa Teresa). Ma non era poeta di professione. Era iscritto alla Corporazione dei Medici et Speziali. Ma non risulta che abbia mai gestito una farmacia, o curato un foruncolo… scrisse di filosofia, teologia, fisica… fece politica, e politica teorizzò. Combattè in guerra. Senza essere un militare di professione. Partecipò ad ambasciate. Ma non era un diplomatico.
Sorvolo sul Rinascimento. L’età, per antonomasia, dell’eclettismo. Un solo nome fra tanti. Leon Battista Alberti. Architetto, poeta, matematico, economista… e non dimenticatevi di Leonardo e Michelangelo.
Certo, erano geni sommi. Ma un po’ tutti gli uomini di quelle epoche, pur con diversi livelli, erano così. Interessati a tutto. Ma, in genere, non specializzati in alcunché.
Non era la specializzazione che faceva l’uomo. La virtù era la “curiositas”. L’interesse per ogni aspetto della vita e del mondo.
“Sono un uomo. E non ritengo nulla che sia umano a me estraneo” diceva Seneca.
Era questa l’essenza della cultura, e della civiltà, umanistica. L’interesse per tutto, per ogni cosa e ogni disciplina. Non lo studio specialistico del greco e del latino. Che, così parcellizzato, equivale ad ogni altra competenza tecnica, in qualsivoglia materia. Ovvero fa sì che uno veda, ossessivamente, solo un particolare. E non l’insieme delle cose.
Se ne accorse, per primo, e con estrema lucidità, Ortega y Gasset. Che definì la nostra come epoca della specializzazione. E quindi del trionfo della mediocrità.
Il processo, secondo Ortega, era già iniziato con l’enciclopedismo illuminista. Ma solo col novecento ha subito l’incredibile accelerazione che stiamo, ancora, vivendo. O meglio subendo.
Perché la specializzazione estrema è limite all’intelligenza. E alla creatività dell’uomo. Tu sai tutto sulla cura della prostata, ma perdi di vista che è parte di un insieme più complesso. Il corpo umano. E curi la prostata come avulsa dall’organismo di cui è parte.
Non è cultura scientifica. Non è scienza. Galilei, Newton si occupavano di mille cose… avevano una visione d’insieme. E Einstein diceva che il vero matematico non pensa in numeri. Pensa. E basta.
L’odierno specialista è, obbligatoriamente, un mediocre. Sia che si occupi di atomi, sia che scriva romanzi. E la mediocrità, o meglio l’incapacità di guardare oltre il nostro specifico particolare, è il segno distintivo di questi tempi.
Anzi, l’obiettivo cui sembrano tendere le cosiddette élite. Dai deliri del Forum di Davos, ai politici italici che considerano le scuole tecniche – nello specifico l’Istituto Agrario – il “vero liceo”.
L’importante è crescere generazioni di specializzati, totalmente incapaci di pensiero autonomo. E di guardare la realtà nel suo complesso.
Con la, cosiddetta pandemia prima, e ora con la guerra in Ucraina, sembra che, con le doverose eccezioni, tale “lavoro” sia giunto a compimento.