Car sharing, bike sharing, scooter sharing, addirittura il camper sharing.
Prendo spunto dall’intervista del sindaco di Milano Sala a 105 Friends in cui parla
di una Milano piena di gente per il Salone del Mobile: “Qualche anno fa avevamo 57 auto ogni 100 abitanti, oggi siamo a 51, per far funzionare bene la città dovremmo scendere a 40; dai nostri calcoli dovremmo arrivarci in una decina di anni; chi sono i principali alleati? I giovani. Per i giovani avere la macchina non è più una priorità, ai miei tempi a 18 anni sarei stato disposto a scappare di casa pur di avere la macchina.”
Stavolta Beppe ha ragione, ha ragione da vendere. Ai giovani non interessa più il possesso.
Il mercato, ovviamente, è più veloce della politica e le aziende che profittano sulla condivisione dei mezzi si moltiplicano ogni giorno.
Le case automobilistiche stesse ormai non spingono più sulla vendita del loro prodotto, ma su soluzioni di canone per l’utilizzo.
Il mezzo in sé non è più fondamentale. Un oggetto anaffettivo da utilizzare fino al raggiungimento del proprio scopo, per poi lasciarlo in mano ad altri.
Se addirittura un marchio di prestigio come Porsche sta puntando su forme di vendita di questo genere, significa che il mondo è davvero cambiato.
Il concetto stesso di “oggetto di proprietà” ha perso quell’aspetto di intimità tra bene e proprietario.
L’emozione deve essere l’esperienza alla fine del viaggio, non il viaggio stesso su qualcosa di proprio, di desiderato, di sudato, di guadagnato.
Dal punto di vista della sostenibilità ambientale è sicuramente un cambio culturale positivo, ma lo è fino in fondo?
Siamo sicuri che l’eco sostenibilità sia il reale motivo del disinteresse dei giovanissimi a possedere quegli oggetti che, per le generazioni immediatamente precedenti, rappresentavano un crocevia di indipendenza, un sinonimo di libertà, di crescita, di maturità?
La risposta più plausibile è: “sicuramente no”. L’importanza di condividere le esperienze ha superato di gran lunga quella di viverle. Non a caso l’oggetto del desiderio per qualsiasi adolescente odierno non è più il motorino, ma lo smartphone.
A che serve avere uno strumento per incontrarsi con le persone? Se il contatto virtuale è così comodo, immediato, facile, sicuro?
Lo status symbol, come la vita stessa, si è digitilizzato, diventato volatile e rappresentato in un numero di cuoricini, più sono meglio è, quando, prima, il mezzo doveva essere lo strumento per conquistarne magari solo uno di cuore, quello particolare, quello con cui “sharare” momenti reali e indimenticabili anche se non indelebili all’interno di uno schermo luminoso.