La nostalgia è il desiderio, struggente, doloroso, del ritorno. E il paradigma è in Omero. Come sempre, per la nostra cultura. I due grandi poemi in greco – un greco particolarissimo, arcaico, ionico misto ad eolico, il crogiolo da cui sta nascendo una lingua letteraria, che forse mai nessuno ha, davvero, osato parlare nelle vie di Mileto o sulle coste delle Cicladi… – questi immani capolavori che vanno sotto il nome (leggendario) di Omero, contengono, in nuce, tutta la nostra cultura e la nostra storia. Raccontano l’uomo europeo, prima che l’Europa avesse nome.
Soprattutto, forse, l’Odissea. Che è, in primo luogo, poema della nostalgia. Anzi, il poema, l’opera che crea il concetto stesso di Nostalgia.
Ulisse è un guerriero. Se vogliamo un pirata e un predatore. È andato alla ricerca di preda e di gloria. Per dieci anni, sotto le mura di Troia. Che cadranno solo per il suo stratagemma. Perché lui è il polymekanos. L’uomo dal multiforme ingegno, tradusse il Pindeonte. L’uomo dai molti marchingegni. Dai molti inganni.
Poi, per altri dieci anni, ha vagato sui mari. Quali? Il Mediterraneo, il Mar Nero, le coste dell’Adriatico… addirittura il Baltico. Tante sono le tesi critiche…ma non conta. Conta la storia di un Ritorno. Tribolato dalla maledizione degli Dei. Che, però, si traduce spesso nell’inesauribile sete di sapere, nella “curiositas”, che di continuo distrae l’eroe. E lo trascina in nuove avventure.
Poi, però, la Nostalgia prevale. La moglie, certo, e sopratutto il figlio. Ma al di là di tutto, la sua è nostalgia della casa, della terra patria…di una realtà, concreta. Forse anche banale.
Nostalgia di un luogo, dunque. In cui si è vissuto. E cui si desidera tornare… Ma è possibile avere nostalgia dei sogni? Ovvero di un luogo solo sognato, di una sorta di “Isola che non c’è” di Peter Pan?
Normalmente la nostalgia che sperimentiamo è quella dell’esule. Che ricorda la patria. Ovvero i luoghi dove ha vissuto l’infanzia. La prima giovinezza. Irrecuperabili, queste. Ma i luoghi vi sono ancora. Ed è sempre possibile tornarvi. Facilmente per restare delusi…
Ma i sogni? È possibile provare nostalgia per ciò che mai si è vissuto realmente, e solo sognato?
Gabriel Garcia Màrquez dice di sì. In un passo, fra i più suggestivi, di quel capolavoro onirico che è “Cent’anni di solitudine”, Macondo, luogo immaginario e microcosmo su cui ruota tutto il romanzo, viene colpito dalla malattia dell’insonnia. Che non nuoce ai corpi. Ma impedisce di sognare. O meglio, di uscire dal mondo reale, per entrare in quello onirico. Che, ormai, si confonde con la vita quotidiana. E questo distrugge la Memoria. Così i personaggi cominciano a provare Nostalgia dei Sogni.
È un passo, un’immagine o, se si preferisce, un concetto che mi ha sempre colpito. Anzi, suggestionato.
Provare nostalgia per ciò che non si è mai visto né vissuto. Solo sognato. È una nostalgia diversa…oserei dire più profonda. E dolente.
Perché i sogni non sono solo, strane, secrezioni della nostra psiche, magari eccitata da alcool, droghe…o anche solo da una cena troppo luculliana. Non sono riflessi alterati del giorno. Della vita ordinaria.
Piuttosto rappresentano un’altra dimensione della vita. Di cui ben di rado prendiamo coscienza. E della quale serbiamo una memoria frammentaria e confusa. Ma sono parte di noi…o meglio, noi siamo parte di quella dimensione. Partecipiamo della sua sostanza, come i nostri corpi partecipano della materia che ci circonda..
E qui ci starebbe, naturalmente, bene Shakespeare. “Siamo fatti della stessa sostanza dei sogni”. Abusata, certo. Ma torna sempre utile.
Ernst Jünger era uso dormire con accanto penna e taccuino. Per annotare la memoria dei sogni appena desto. Prima che questa svanisse con l’aurora. Ne sono nati alcuni dei più grandi romanzi filosofici del ‘900. Capolavori assoluti: Sulle scogliere di marmo, Heliopolis, Eümeswill…
Libri dell’anti – utopia, vengono definiti… ma anche narrazione di luoghi… che esistono solo nella dimensione del sogno e per i quali il grande scrittore tedesco prova, palesemente, nostalgia.
Chissà….forse la nostalgia dei sogni è quella più vera. Autentica e profonda. È la nostalgia di un qualcosa, una dimensione spirituale, che quotidianamente perdiamo. Ma che sentiamo, ancorché ottusamente, essere la nostra vera patria. La nostra casa.
E allora la vita diventa il viaggio di Ulisse che cerca di tornare ad Itaca. Un’isola nel mare oceano del sognare.
1 commento
Ci sono scritti che si ripetono,magari per farne una diversa disamina,sviscerare l argomento sotto altri aspetti.Ho pensato questo leggendo alcuni articoli,come pure quest’ultimo.
E sono certa di aver commentato qualcosa riguardante la nostalgia proprio un anno fa,forse agli inizî di agosto.Lo stesso vale per quei rintocchi di campane romane,”din don,din don,amore”, di L.Fiorini e altro ancora…
La stessa nostalgia dell’ esule,quella intesa nell accezione più letterale, è anche essa,in parte, nostalgia del sogno o,meglio,dettata da un sogno, quello che il ricordo anima,ma che,poi,trasforma il ricordo stesso,caricandolo di altra luce.
È proprio nell’ onirico che si libera la vita,in esso riconosciamo noi stessi, apriamo la porta per accogliere il nostro daimon,inquieti,inappagati da un’esistenza che ci attanaglia con la sua vanità,con ciò che ci depaupera.
A volte, anche se può apparire banale, possiamo trovarci in una condizione di grazia,in cui dare una sorta di volto reale ad un sogno,vicino alla dimensione spirituale.
Allora,dopo averlo riconosciuto,tocca fare il passo,il salto,alla nostra portata,ma che pure ci appare abissale,certi di cadere, perdendo così anche un’ennesima piccola certezza dettata dal sogno stesso, appiglio,áncora che ci lascia ancora più naufraghi, più amareggiati,disillusi,un mattone in più.
La CITTA ci verrà sempre dietro–penso, perché bisogna aprire le porte dei nostri incubi,dei nostri sogni.
PER SOGNARE ANCORA.