L’Autunno è la stagione della nostalgia.
“Che dolcezza infantile/nella mattinata tranquilla!/ C’è lì Sole fra le foglie gialle/ e i ragni tendono fra i rami/ le loro strade di seta.”
In pochi versi Lorca dà voce a questo strano sentimento. Un misto di dolore e dolcezza…ma tenui. Senza eccessi. Un sentimento lieve, come le foglie, multicolori, che volano nel vento. E, infine, si accartocciano al suolo…
“Ma dove ve ne andate/ povere foglie gialle accartocciate?/….e non sentite la malinconia/ del vento che vi porta via?”
Questo, anche se potrà sembrare strano e inusuale, è Trilussa. Non solo, sapido, poeta satirico in romanesco. Lirico dal tratto delicato, quando voleva. Anche se voleva di rado….
“Singhiozzi lunghi /dai violini/ dell’autunno/ mordono il cuore / con monotono languore…”
E questo è Verlaine. E quella musica, monotona e languida, rende più di ogni altra immagine la nostalgia che compenetra ogni fibra – per dirla con Ungaretti – dell’Universo. Del nostro universo personale, di sentimenti, pensieri. Percezioni. Che si tinge di colori, più vividi e vari, ma, altrettanto certamente, più…. malinconici. Perché la malinconia riposa nelle sfumature. Nella policromia intensa e varia. La stagione che precede, l’estate, ha come cifra cromatica, il verde intenso. Abbagliante.
Ma, in certo qual modo, monotono.
Poi, verrà l’inverno. E sarà grigiore. Qui, fra i monti, anche il bianco della neve. Monotono comunque. E la monotonia è, in tutte le cose, segno di morte. Lo è il grigiore invernale. Con le nebbie che evocano il regno di Ade. E i ghiacci che fanno pensare alla terrificante Terra dei Giganti, delle leggende scandinave…
Ma è simbolo di morte anche il verde intenso dell’estate. Che è molto diverso da quello, vivido e fresco, della Primavera. Colore inquietante. Spesso associato alle streghe. Al Diavolo stesso… Non per nulla quel genio anomalo, e forse un po’ morboso, di Stefen King ha intitolato il suo, allucinato romanzo sui condannati alla sedia elettrica, “Il miglio Verde”. Il colore del, lungo, corridoio che portava alla Camera della Morte. Inesorabile e, appunto, monotono.

La policromia autunnale è, all’opposto, colma di vita. Di nostalgia della vita, certo. Ma anche di una speranza che in questa nostalgia riposa sottesa.
“Vorrei, pioggia d’ Autunno essere foglia / abbandonarmi al tuo scrosciare certa/ che non morrò, che non morrò, che solo/ muterò volto sino a che avrà la terra/ le sue stagioni , e un albero avrà fronde”.
Ada Negri esprime con delicatezza rara (ma perché di questa grande poetessa non si parla più?) la profonda, e complessa, nostalgia autunnale. Che è, poi, struggente nostalgia della vita, percepita come continuo mutamento. Come alternanza di nascita e morte…
Nostalgia è infatti il desiderio, doloroso o meglio dolente, del ritorno. Un anelare del cuore a qualcosa che lui ricorda. Anche se la nostra mente resta cieca. È, in fondo, un sentiero, tracciato da traslucide tele di ragno.
Fra pochi giorni qui apriranno i mercatini di Natale. Nella fase finale dell’autunno. Subito prima dei mesi più grigi, e rigidi, dell’inverno.. Decorazioni, abeti, presepi ….cibi e, soprattutto dolciumi tipici. Calderoni fumanti di vin brulé…
Su tutto, però, luminarie, luci multicolori che si accendono e scintillano nella tenebra.
È evocazione magica. Del sole, della vita. Un’altra vita.
La nostalgia svanirà.
1 commento
Il mio Hortus Conclus ha ritrovato i colori di quella foto,ricordi,quella che ti inviai poco meno di un anno fa,circa.Il salice,la forstizia,il glicine e le sue”liane”,le bacche rosse dell’ agrifoglio…
Era una foto di invito,di buon auspicio,augurio ed attesa, per una volta positive aspettative.
Altre volte avevo scritto di nostalgia e di versi che amo, come anche questi che tante volte si incontrano sui social.Stralci che si ripetono da anni, rubati e ripostati, in questa smania di poesia che troppi hanno,insozzandola.
La poesia,quella che amo, rigorosamente con la minuscola, non si serve di luci e mercatini, non ha bisogno di P maiuscole, non necessita di tacchi alti,eleganti che siano, né di quel falso interesse,finta semplicità ed ingenuità.
La poesia nasce dalla mancanza,nella buia intimità, da foglie morte che volteggiano, insieme ad una busta che danza con loro( come in una famosa scena di un film),da una affollata solitudine,dalla felicità che ci fa piangere,dal silenzio in cui sappiamo perderci e sentire l altro.
Il coraggio di perdersi oltre le predefinite dimensioni del tempo e dello spazio, ed annullare le distanze,quelle che ci dividono dal nostro dirimpettaio o dal nostro compagno.
Le foglie più belle non si possono spazzare via, poiché esse hanno vita a sé stante, sedimentano in noi e ritornano.
Forse,come spesso capita,chiodo scaccia chiodo,allora ci si dimentica presto, anzi si butta tutto via velocemente e con entusiasmo.
E andrà tutto bene.
Ma, il peso del mondo è nell’ ombra, nella profondo sentire,nel carpire e capirsi anche in silenzio.
Appartiene a pochi,ai più forti, ai più veri, a chi ha la indesiderata lucidità di non affidarsi neppure a un Dio.
Per quelli non c è vento o scopa che spazzi via le foglie.
Il vento è il suono della nostalgia.
Non c è un’altra vita,no,non quella di plastica,di luci fittizie.
La vera luce non può che contenere tutta l ombra,in uno scambio ed un fluire allo stesso livello.
Ma questa è un’altra storia che,con la sua apparente gravità,non vuole essere una dissonanza,una crepa,per quel tuo auspicio di un’ altra vita.