Nostalgia. Il desiderio del ritorno. Perché questo significa “Nostos”. Ritorno. Come quello di Odisseo, il ritorno per antonomasia. Archetipo e paradigma di tante opere, di tanta poesia giunta sino a noi. Joyce, certo, col suo grigio Mr. Bloom in una Dublino ancor più grigia. Ma anche Saba: Oggi il mio regno /è quella terra di nessuno. Il porto / accende ad altri i suoi lumi….E prima Tennyson, con il suo: serve a poco un re ozioso… E Pascoli. E Foscolo, con quel: bello di fama e di sventura / baciò la sua petrosa İtaca Ulisse…O il D’Arrigo di Orcynus Orca… e potrei continuare. Non dico all’infinito, ma quasi. Perché Ulisse rappresenta, tra le altre cose, la nostalgia per il passato. Che non torna, né può tornare, tant’è che Dante ce lo rappresenta vecchio, ma non domo. Perennemente irrequieto. “Fatti non foste a viver come bruti…” E Tennyson, e Pascoli, già citati, sono sulla sua scia. Che è una grande scia.

È morta Raffaella Carrà. Di malattia. E tutti, media e social, la commemorano. Rumore. Quanto è bello far l’amore da Trieste in giù, Tuca Tuca, Zum zum zum…. Tutto un risuonare delle sue vecchie canzonette.Che, però, non sono solo canzonette. Sono… Nostalgia. Anzi, nostalgie al plurale.E qui si comincia a spiegare questa, balzana, analogia tra Ulisse e la Raffa nazionale.
Perché tutte queste commemorazioni trasudano, più che compianto per la deceduta, ormai anziana, soubrette, le nostalgie personali di chi le scrive. Il ricordo di quando si era giovani. E le ragazzine sognavano improbabili carriere televisive sulle sue orme. E gli adolescenti andavano in tempesta ormonale e nutrivano fantasie proibite davanti a quell’ombelico sapientemente esposto. E a quelle gambe velate dalle calze nere. Non lunghissime in verità, né perfette… ma lei sapeva muoversi, e, poi quello passava la TV…mica altro…
In realtà tutti, con gli anni, vorremmo tornare indietro. Compiere un nostro periplo del Mediterraneo – ammesso e non concesso che l’Odissea nel mare nostro sia davvero ambientata. E ritornare alla nostra, personale, İtaca. Che è poi il mondo del nostro passato. La nostra giovinezza. Che però è perduta. Irrimediabilmente. Quei poeti, da Dante in poi, che hanno provato ad immaginarsi un Ulisse ormai vecchio, dopo molti anni dal rientro ad İtaca, hanno, nella sostanza, descritto un animo inquieto. Insoddisfatto. Di nuovo nostalgico. Ma non della casa e della sposa. Dell’avventura. Del mito e della guerra. Di Calypso infine. Che gli aveva promesso l’eterna giovinezza da lui rifiutata. Per nostalgia.

Perché la nostalgia è canaglia, come cantava Albano (beh, visto che siamo in tema di canzonette… ) con Romina ai tempi d’oro… È canaglia perché si nutre dei ricordi. E li trasfigura. Rendendo tutto bellissimo. Anche ciò che non lo era. E qui dovrei tirar fuori Leopardi… ma per oggi lo lascio in pace. Sempre che il Recanatese possa aver pace…Ma la realtà, sempre, non coincide col ricordo. E alla nostalgia subentra un’altra nostalgia. Al sogno di İtaca, quello di Ogigia…
Mi viene in mente, in modo frammentario, uno scritto di Franco Cardini. Non ricordo esattamente dove pubblicato. Nè quando. E anche il tema mi sovviene in modo nebuloso. Ma era un acuto, e poetico, paragone fra Ulisse ed Enea. E Cardini spiegava perché era il Troiano il suo eroe. E non l’Acheo. Mi colpisce. Ma per ragioni, in parte, diverse da quelle esposte da Franco. Perché Enea, a ben vedere, non è l’eroe della nostalgia. Il suo non è un Nostos. Un ritorno. Non che non vorrebbe, ma sa che è impossibile. Troia è stata distrutta una volta per tutte. E lui prende il mare. E va incontro all’ignoto. O, più esattamente, al suo Fato.

Possiamo provare tante nostalgie, e diverse, guardando i video di una giovane Raffa che balla il Tuca Tuca con un, ironico, Alberto Sordi. Possiamo avere la struggente malinconia per la giovinezza. Per l’Itaca della nostra memoria. Ma quell’isola non esiste più. Meglio fare come Enea. Lasciarci le rovine fumanti alle spalle. E andare verso orizzonti diversi. La città che ci attende è diversa da quella che abbiamo lasciato nel passato. Forse, però, potrà essere più grande e bella.
Il nostro, comunque, è un viaggio senza ritorno.
1 commento
Ci sono parole che al solo vederle scritte,pronunciandole in noi senza suono,ci scuotono sempre, come se fosse la prima volta,come se non le conoscessimo nella loro pienezza,ci spezzano e tormentano ancora,fino,quasi,ad ammutolire.
Difatti,dal momento che ho letto,sono già passate quasi tre ore,in cui sono stata invasa da immagini,da pensieri che negli anni si sono fatti sempre più opachi,ma che ancora ribollono,crepitanti braci sotto la cenere.Alla fine tento di pronunciare,in questa forma,un qualche pensiero,sperando, così,di dare forma,di filare grossolanamente quel poco di lana, di scarsa qualità,solo per non soffocarne.
È un sentimento che tocca un po’ tutti,nella maniera più lineare e semplificata, quella del dolore,della sofferenza generata dal pensiero del ritorno, dal ricordo della propria terra,heimat, della propria giovinezza. Ma, talvolta,per alcuni,la nostalgia è il setaccio attraverso cui si filtra il passato e la vita stessa. È un modo di sentire, che si accosta e si esplicita nelle parole MALINCONIA ,SPLEEN, riportate da Montale in un qualche verso,credo.Ci sono lingue che hanno due diversi vocaboli per distinguere la nostalgia per la terra natale lontana, dalla sofferenza che nasce dalla assenza,dalla mancanza di qualcosa o qualcuno.
Al termine greco, così perfetto,da cui deriva il nostro, associo sempre quello portoghese SAUDADE.
Infondo,l uomo vive nel passato: vive ,infatti,nel ricordo di qualcosa che spesso neppure fu,in quel momento,ossia nell allora tempo presente, ricordo che si carica fino a diventare desiderio per il futuro, bene perduto a cui tendiamo ed aspiriamo.Ma la memoria inganna, perché,come detto nell’ articolo, trasfigura,alimenta,mentre ci sfugge il solo tempo che ci appartiene.
A volte,quel dolore del tornare indietro ci attanaglia fino ad impedirci anche un solo passo in avanti.Forse saremmo immortali senza i ricordi,quelli che da osservatori modifichiamo, in un’altra forma di principio di indeterminazione,ossia la costante interazione tra soggetto ed oggetto, per dirla nell’ unica maniera per me possibile, data l ignoranza.
Come scrive,in ITACA, K.Kavafis, Itaca è il viaggio stesso, non la meta.La vita che corre veloce in linea retta, non ritorna e non ci dà il tempo di soffermarci troppo,anche se si dovrebbe gustarla con più attenzione.E c è chi,nel ‘900, ha voluto immaginare una moderna Odissea di 33333 versi,in cui l Acheo torna a salpare, fino alla fine,quando sarà libero persino dalla stessa idea di libertà.
Ed è bella quella riflessione di Cardini( che amavo ascoltare su IL TEMPO E LA STORIA, quando ancora riuscivo ad ascoltare…), su Enea che abbraccia il presente, il battito della vita al di là di ciò che è stato o sarà.
Il costruire, il dare vita, sempre lo spaccarsi del seme di grano per far germogliare la nuova vita.
A questo ,forse, può servire un fado, esorcizzare il dolore cantandolo, così come i versi dei Grandi per noi piccoli esseri, ingobbiti, curvi sotto il peso di un sentire troppo denso, troppo intenso per noi. Una canzone di cui non capiamo le parole,ma che sentiamo nostra e ci fa piangere e ci dà la possibilità di fare un passo avanti, ancora. Áncore, per chi di nostalgie è fatto, e non può separarsene.
Allora penso alla Nostalghia di David Sylvian, diversa dalla SAUDADE di Cesaria Evora, penso a LA BOHÈME di Charles Aznavour, alla Homesickness , un brano forse di SCHUMANN,ora non lo ricordo, e anche alla nostalgia del presente che ho già…e dei futuri ricordi,quelli che, forse,riusciremo a vivere con la “determinata incoscienza”del eroe troiano.
In una sua frase,Octavio Paz dice più o meno che la MEMORIA,NON È CIÒ CHE RICORDIAMO,MA CIÒ CHE CI RICORDA, È UN PRESENTE CHE NON FINISCE MAI DI PASSARE.
Le CANDELE,di Kavafis ,illuminano la strada da percorrere dinanzi a noi, mentre alle nostre spalle si spengono sempre più numerose.
Sì può ,forse,scegliere di percorrerla anche come il POETA MURATO.
Non tutti possono scegliere,in verità, la loro strada,o forse quella era a loro destinata.
Amare resta il Verbo, il solo attraverso cui si possono coniugare tutti i tempi dell’ essere se si vuole farne VITA.