A mio figlio, ai miei studenti la cosa sembra impossibile. Anzi, inconcepibile. Ma tutta la mia generazione, per non parlare di quelle precedenti, è cresciuta e vissuta senza smartphone, social, internet, chat….. È cresciuta con una televisione che aveva, all’inizio, solo un canale. E molti, i più, andavano a vederla al bar. Perché in ben pochi si possedeva un apparecchio televisivo (come si diceva allora). E i programmi iniziavano alle 17, con la TV dei ragazzi. Qualche cartone, qualche sceneggiato educativo. Febo Conti con “Chissà chi lo sa”. Un quiz in cui classi scolastiche si sfidavano su temi di geografia, storia, aritmetica, scienze…
Poi terminava alle 23. Un varietà la settimana, il sabato. Un film, il Lunedi.
Domenica lo sceneggiato a puntate. Pedagogico. Dai grandi classici della letteratura. Leggendario, epocale “Il Mulino sul Po” di Anton Giulio Maiano. Dal, fluviale, romanzo di Bacchelli. Durò circa tre anni.
Impensabile, vero? Per la nuova generazione.
Ancora più impensabile che, per incontrarsi e conoscersi non ci fossero le chat. I social. Si andava in piazza la sera, a fare il listòn, come si diceva dalle mie parti. O le “vasche”. Camminare avanti e indietro, chiacchierando fra amici. Cercando di abbordare le ragazze.
Oppure ci si riuniva in crocchi. O seduti su un muretto. Più di rado ai tavolini di un bar. Le consumazioni costavano. E la politica dei genitori, anche di quelli più abbienti, era di lasciarti ben pochi soldi in tasca. Che meno ne avevi, meno guai combinavi…
Però ci divertivamo. E non solo. Perché quei crocchi, quelle passeggiate serali erano la nostra vera scuola. O meglio Accademia. In cui si discuteva di tutto. Di ragazze, certo. Ma anche di filosofia. Di esoterismo. Di occulto.
Ricordo interminabili conversazioni serali, dove si saltava di palo in frasca. Zacca, il vecchio (per modo di dire) seguace di Guénon che disquisiva sui simboli della Scienza Sacra. Sul simbolismo della Croce, o sui divieti alimentari nell’Islam. Si soffermava sui sufi, in particolare sui malamattyhya (credo si scriva così). Che rompevano, scientemente, ogni tabù, per spezzare la coscienza ordinaria. E andare oltre. Bevevano vino. Si comportavano da folli. Infastidivano le donne per strada… “Dei veri nati de’ cani” commentava, ridendo compiaciuto.
Talvolta si univa a noi quello che chiamavamo il “Tresso”. Perché era una montagna d’uomo. Una massa di muscoli. Parlava sempre di spiritismo. Allan Kardek. E, per un periodo c’era Edik, l’acrobata. Un acrobata, vero. Un tartaro, scappato dal Circo di Mosca. Mi sono sempre chiesto perché…Che mai avesse combinato. Di politica non si interessava. Le sue uniche fisse erano gli Inca e i culti del Sole. Di cui sapeva tutto, ancorché in modo confuso. E le donne. Vera ossessione.
Già, le donne. Quando potevamo andavamo sul corso. Alla Pasticceria da I*…e li continuavamo le nostre accese discussioni. Distratti, però, dai glutei e dalle gambe della Pantera. Una mora favolosa, che serviva ai tavoli. E che, ovviamente, manco ci filava…. ma era un gran bel vedere. All’epoca non c’erano le quote rosa…
Serate, spesso sino a notte, che andavano così. In una città di provincia. Per passare il tempo. Soprattutto in estate. Col caldo afoso.
Noioso? Sinceramente non credo di aver mai provato, allora, né noia né solitudine…
Molti anni dopo, lessi le Notti Attiche di Aulo Gellio. Un capolavoro di prosa latina del II secolo d. C.
Un libro di enorme erudizione. Un libro di…conversazioni. Dove, a tavola, o nella frescura di un giardino, al riparo dalla, tremenda, afa Attica, si discute proprio di tutto. Dalla teologia ai problemi grammaticali. Dalla filosofia politica, alla ricetta per preparare, al meglio, le ostriche.
Una lettura divertente. Almeno per me. Che ho, certo, un concetto tutto mio di divertimento.
Ma mentre leggevo, provavo una strana sensazione. In fondo, fatte le debite proporzioni, anch’io, da ragazzo, avevo vissuto qualcosa di simile. Le mie, personali, Notti (quasi) Attiche. Perché non c’era internet, né chat, né social. Si viveva, e si parlava. Tutto qui.