Quei quattro occhi che mi scrutano a dire “ma dove va?” mentre chiudo l’uscio di casa mi ricordano Baudelaire:
“Viens, mon beau chat, sur mon coeur amoureux;
….
Et laisse-moi plonger dans tes beaux yeux,
Mêlés de métal et d’agate. “
“Ah è qui” mi dicono al rientro quegli stessi occhi che appaiono indifferenti e a mala pena riconoscibili sotto la coltre di pelo e quiete serafica di chi ha oziato tra divano e divano e appare a malapena accorgersi di una nuova presenza.
Con tempi autonomamente decisi l’una si avvicina per la carezza mentre l’altra si lancia, da lontano, in miagolii significativi.
L’ho soprannominata “la sindacalista.”
E’ lei che al mattino mi aspetta dietro la porta vetri che separa il reparto notte e mi accompagna mentre scendo la scalinata, pretendendo carezze e sollevamenti vari solo con i piedi.
E quando capita di dormire nel lettone è lei che si pone a distanza sull’angolo più estremo del letto, mentre l’altra, molto più empatica ed espansiva, pretende di dormire sopra di me, mentre fusa e silenzio si alternano nella calma assoluta della notte.
Quando mi sposto per la casa quegli occhi sembrano dire “ma quanto si agita” e al contempo “non è affar nostro”.

Se mi siedo sul divano o una sedia l’una mi penetra con i suoi occhi profondi, salta sulle mie gambe accoccolandosi sulla pancia per continuare il suo riposo, l’altra mi guarda con sguardo sfuggente e parla a distanza di sicurezza col suo specialissimo miagolio. Lo decide solo lei se vuole avvicinarsi, non si fa toccare neppure in lontananza. E’ lei che decide il contatto, sempre brevissimo e diffidente e pronto a trasformarsi in una fuga se solo azzardo un movimento.
Di eventuali scorribande per la casa in mia assenza non rimane mai traccia.
Qui solo angeli abbracciati e quiete a raccontare tuttavia, con gli sguardi e i gesti, il retroterra della loro vita passata.
Il momento delle ciotole è convocazione tacita in cucina: sguardi attenti ad ogni movimento per poi immergersi ad assaporare delizie e solo per un attimo perdere il controllo di quella tipa, di cui dopotutto pare ci si possa fidare.
A volte guardo la loro esistenza con un pizzico di invidia e non solo perché prevalentemente oziosa.
Mi incanta la loro natura libera, priva della necessità di compiacere, la loro eleganza ed elasticità, l’attitudine alla calma vigile e la capacità di comprendere pur mantenendo il proprio mistero; la loro affettività distaccata, ma al contempo intima e profonda come quella di chi, di vite, ne ha vissute già molte.
I loro occhi così intensi, che seguono con discrezione ogni mio movimento e con estremo tatto sanno comprendere gioie, dolori, salute, malattia, in faraonica compostezza, sembrano suggerirmi “lascia andare senza perdere l’obiettivo”.
Non stupisce che si attribuisca loro un forte potere evocativo. Ho in mente Borges, il quale, parlando del suo Beppo, recitava “sono fantasmi che regala al tempo un archetipo eterno”.