Papini, nel culmine della sua, personalissima, stagione futurista, tenne in Campodoglio una memorabile orazione. Titolo: Odio Roma!
La rissa era scontata. Anzi, voluta e cercata. Perché i futuristi erano dei provocatori. E la provocazione, estrema ma mai becera, era lo strumento per rinnovare, o meglio rivoluzionare la cultura, l’anima dell’Italia. Per portare un vento fresco dove l’aria da troppo ristagnava.
Uno dei temi forti di questa banda di giovani poeti, pittori, musicisti, architetti…era la lotta contro il Passatismo. Di cui, nel discorso di Papini, Roma assurgeva a simbolo e feticcio. La Roma della politica stagnante, delle vecchie aristocrazie svuotate di senso, della borghesia impiegatizia giunta da tutta la Penisola, indolente e meschina. La Roma musealizzata dagli accademici, ridotta a pittoresca attrattiva per gli stranieri in visita, una Roma cialtrona, in sostanza, che tutto era meno che quella dei Cesari. Piuttosto quella ritratta molti anni dopo nel film “Il conte Tacchia”, forse la migliore interpretazione di Montesano, con l’ironica regia di Sergio Corbucci…
Odio Roma, disse Papini. E in certi momenti lo capisco perfettamente. Perché verrebbe da dirlo, anzi da urlarlo anche a me. Per ragioni diverse, però.
Perché io odio questa enorme periferia anonima che pretende, oggi, di essere chiamata Roma. Questi, cosiddetti, quartieri residenziali, medio – piccolo borghesi, con molte, troppe pretese snobistiche… e che, in realtà, sono quello che, dalle mie parti, si dice il “voria ma no posso”. Quartieri dormitorio, anonimi, privi di anima. E con qualche finzione di (falsa) eleganza, kitsch…
Leggete ciò che scrisse a suo tempo Flaiano, con l’ironia astratta che era la sua cifra stilistica più felice. Viveva proprio da queste parti. Ma a Montesacro, la Città Giardino, che è una meraviglia, tra il tardo liberty e l’edilizia del razionalismo. E pensare che era nata come edilizia popolare… Poi, vide sorgere questi nuovi alveari, e provò un senso crescente di disagio. E orrore. Intuiva cosa stesse accadendo di quella Roma per la quale aveva fatto passeggiare il suo, trasognato, Marziano…
Odio questa città becera nell’anima, che ha completamente perduto lo spirito dei vecchi quartieri popolari, Trastevere, Rione Monti, Borgo… Ormai scomparsi, o ridotti a luna park per turisti. Ed erano i quartieri della Roma vecchia, quella di Rugantino, degli amori e delle serenate nei vicoli. E, anche, degli uomini di coltello, duri, ma a loro modo con un codice d’onore. E, in fondo, romantici, come i protagonisti delle Milonghe de Buenos Aires cantate da Borges…
Inutile dire che odio la sporcizia, che si accumula per ogni via, i ratti che la fanno da padroni, il traffico caotico, la maleducazione dilagante. Questa è solo la superficie delle cose.
Ciò che odio, detesto veramente è l’assenza di ogni spirito di comunità, la solitudine suburbana che si cerca di coprire col rumore, la confusione, le voci sempre troppo alte, l’invadenza… Malattie che scorrevano come una lue nel corpo della città da molto tempo. Ma che, oggi, sono esplose, divenute patologie conclamate. E, rapidamente, trasformate nella nuova normalità.
Questa non è Roma, mi dice una voce. Questa è la città delle solitudini, del perdersi di ogni senso di umanità.
Ma Roma vi è ancora. E non solo quella dei Giganti addormentati, intuiti da Goethe nelle sue Elegie.
Vi è anche la Roma dei vecchi vicoli, delle ombre fuggitive di un passato più vicino. Dei giardini segreti e dei vasi di fiori alle finestre. Prova ad andarvi in una sera d’autunno. Prova ad inseguire i suoi fantasmi. Forse ti sembrerà di sentire la voce del l’indimenticabile Lando Fiorini intonare :
“Din don, din don, Amore / cento campane stanno a dì de no /ma tu, a tu, Amore mio / se m’hai lasciato ancora nun lo dì…”
Già il Segno del Comando. La Roma magica di fantasmi evanescenti e bellissimi. La Roma di cui mi ero innamorato da ragazzo… E che, se la ritrovassi, forse potrei ancora amare….
1 commento
ODIO ROMA,una provocazione, come ODIO L ESTATE,di B.Martini.
L odio è l ombra dell amore,quella che si vede quando il sole cala.
L odio non è indifferenza, ma è l aver amato tanto ed ancora, purtroppo.
“Malattie che scorrevano già prima,come una LUE” un passaggio bellissimo, come tutto lo scritto, nella sua densità, vischioso e straripante,che travolge tutto,quasi per eliminare il peggio.Un passaggio che,per quella LUE, mi ha ricordato un libro che stavo leggendo anni fa e che smarrii su un telefono che si spense senza possibilità di recupero.Scritto da B.H. Levy,raccontava gli ultimi giorni di vita di C. Baudelaire.
È nel finale che si può cogliere quella luce nascosta nell’ ombra, la speranza,la volontà di amare ancora,evocando un amore carnale che possa fare da tramite.
È lì che risplende ancora la Vita,non battuta dall’ indifferenza,dalla non-parola.