La scorsa settimana al Circolo dei Lettori di Torino si è svolta la presentazione dell’opera in due volumi dal titolo “Oh gran bontà de’ cavallieri antiqui!”, scritti sulla cavalleria e sulla tradizione cavalleresca italica, edito dalla casa editrice Il Cerchio nel 2021, nel quale sono raccolti i più importati saggi di Franco Cardini – sia già editi in altre sedi sia inediti – sulla nascita, sull’affermazione e sulle diverse declinazioni della cavalleria nel medioevo, riletta come grande tema storico e antropologico.
Dopo i saluti iniziali dell’editore, Adolfo Morganti (Il Cerchio, Rimini) e una introduzione del dott. Stefano Manganaro (Università di Pisa), il professor Franco Cardini (Scuola Normale Superiore di Pisa), ha introdotto il pubblico in un universo affascinante e per alcuni aspetti poco conosciuto: quello delle origini della Cavalleria. Un viaggio avventuroso nella ritualità, nei miti, nei modelli letterari, nelle aspirazioni spirituali e nelle strutture sociali che diedero vita alla grande esperienza della cavalleria europea nel medioevo.
Come un fiume in piena, il professor Cardini ha raccontato le sue esperienze giovanili che lo hanno condotto ad indagare sulla cavalleria, non soltanto ricercandone le radici storiche nell’Alto Medioevo, ma anche interrogandosi sull’archetipo cavalleresco, presente soprattutto in Europa, ma non solo. La tesi di Cardini è che l’ideale cavalleresco, rimpianto da Ludovico Ariosto nel 1500, si trova sempre “alle nostre spalle”, tanto che già Chretien de Troyes nel dodicesimo secolo – età d’oro della cavalleria medesima – si riferiva con nostalgia ai “tempi di Re Artù”. L’ideale del vero cavaliere si colloca perciò in quell’Illo tempore di cui parla Mircea Eliade riferendosi al tempo del mito, che è sempre al di fuori del tempo ordinario ma contemporaneamente ne costituisce il modello, mai pienamente realizzato. Per questo non basta interrogare la Storia, ma occorre calarsi alla ricerca delle fonti del Sacro e del Mito, laddove si forma l’immaginario dei popoli, che a sua volta affonda le proprie radici nell’inconscio collettivo dell’Umanità.
In un celebre saggio, Christopher Dawson si è chiesto perché per noi – che pur viviamo immersi nel mondo del capitale e dei consumi – il cavaliere è “tanto più bello” di un agente di cambio.
Il suo fascino nasce da molteplici aspetti: innanzitutto non è semplicemente un guerriero che combatte per il suo Signore, ma è caratterizzato da uno status ritualmente e iniziaticamente legittimato. Inoltre, il fatto che combatta a cavallo è anch’esso particolarmente significativo: questi è a sua volta un animale carico di significati simbolici sia presso i Celti, sia presso i Germani, entrambe popolazioni che discendono dai primi cavalieri euroasiatici delle steppe. Il mito greco dei Centauri ne è un esempio, così come le grandi dee celtiche Epona e Rhiannon, rappresentate a cavallo o direttamente in forma di giumenta.
Simbolo di libertà , di velocità e di intelligenza, il cavallo è anche visto come animale psicopompo, tramite tra il mondo dei vivi e l’Aldilà; l’unione tra l’uomo e il cavallo crea quindi una figura superiore a quella del comune guerriero che combatte a piedi. Se tutti questi aspetti sono confluiti nell’identità del cavaliere medievale, ciò che maggiormente caratterizza la sua rappresentazione nell’immaginario collettivo è l’etica che lo contraddistingue.
In un vecchio film fantasy, Dragon heart, non a caso molto amato dagli appassionati del genere, il protagonista ritrova la fede e la speranza necessarie a combattere l’ingiustizia, riascoltando e ripetendo le parole dell’Antico Codice: Un cavaliere giura di essere valoroso,il suo cuore conosce solo la virtù, la sua spada difende gli inermi, la sua forza sostiene i deboli, le sue parole dicono solo la verità, la sua ira abbatte i malvagi. Il cavaliere è colui che lotta in modo disinteressato per un ideale di giustizia e di verità, da sempre inscritto nel cuore umano, nonostante non si sia mai pienamente avverato. Onore, fedeltà, prodezza e nobiltà d’animo possono sembrare valori obsoleti in un’era centrata sul denaro e sull’individualismo sfrenato, ma l’animo umano è comunque fatto per “cose grandi”. Come scriveva Regine Pernoud, grande storica del Medioevo, i racconti cavallereschi “per il loro valore simbolico e il loro scintillio” ci incitano a sviluppare quel “meglio” che ognuno porta in sé. Era d’altronde un motto del tempo dei cavalieri: “Più è in voi”.