Ogni tanto, mi sento seguito. Pedinato. Spiato…una sensazione, certo. Ma una sensazione che, nel tempo, si è fatta certezza. Certezza di una presenza comunque e sempre incombente. Discreta, ma assidua. Che non mi abbandona mai. Tendo a dimenticarmene nel corso della giornata… troppo preso da problemi, affari, correre qua e là, telefonate, chat… però basta un attimo di sosta, per tirare un respiro. Bere un caffè. Ed ecco… un movimento appena intravisto con la coda dell’occhio. Una vibrazione di luce. Muta.
E torna prepotente questa sensazione… Non sono solo. Mai. O, forse, solo quando dormo. Al buio. Ma, anche di questo non posso esser certo…
Complottista… maniaco… fissato… Già me le sento tante voci… Sembri il personaggio di quel film… quello con Nicholson, di lui che pensava di essere spiato dalla CIA, dalle sette segrete… dagli alieni…
Scusate, ma c’è un equivoco. Io non sto pensando, e parlando, di Servizi Segreti, strane Entità, logge occulte… bensì di una cosa ovvia, che dovrebbe sembrare scontata a tutti. Perché a seguirmi, a spiarmi, a tallonarmi senza tregua altri non è che… la mia Ombra.
Ed è così per tutti. O meglio, lo dovrebbe essere perché lo diamo tanto per scontato che non ce ne rendiamo conto. Se non in particolari momenti…
E sono momenti in cui lei, la nostra ombra, ci sorprende.
Dell’ombra infatti, della sua abituale, costante presenza, non siamo mai coscienti. Se non quando, in un meriggio assolato, la vediamo proiettata d’improvviso contro il bianco intonaco di un muro. E restiamo, per un attimo, stupiti. Perché l’ombra non è la nostra copia, il nostro ologramma. È altra. Qualcosa che sembra proiettata da noi, ma che non coincide con i limiti, i determinati confini del nostro corpo. E non è statica, rigida. Fluida, piuttosto… si dilata e restringe. Si allunga e si accorcia… Resta, a lungo, discreta dietro le nostre spalle. Poi, all’improvviso, ci avvolge. Dandoci la netta sensazione che non è lei una semplice nostra proiezione. Un effetto di luce. E che, all’opposto, siamo noi a costituire solo una parte, se vogliamo il nucleo tangibile, dell’ombra.
Ne “Il segreto del Bosco Vecchio”, Buzzati inserisce uno strano colloquio tra il protagonista, il colonnello Procolo, e la sua stessa ombra. Che gli annuncia la sua intenzione di andarsene. Di abbandonarlo. Perché, con i suoi comportamenti, il colonnello ha perduto l’onore. E l’Ombra, che lo segue da sempre, non può tollerarlo.
Tornerà, alla fine del racconto. Quando il Procolo morirà, con un gesto che riscatta tutto il suo passato. E allora l’Ombra si ricongiungerà con lui.
Semplicistico, però, pensare all’Ombra come ad una sorta di, astratta, allegoria della coscienza. Piuttosto è una presenza altra e reale. Anche se non concreta in senso materiale. E la sua perdita diventa una sorta di dannazione in vita, come per il Peter di Adelbert von Chamisso. Che Buzzati conosceva bene…
È, comunque, una strana compagna l’Ombra. Che ci suggerisce, o ricorda, ciò che ci manca. Un’assenza indeterminata. Forse il senso ultimo di tutta una vita ed una ricerca. Tant’è che la storia di Peter diventa, poi, uno sviluppo della fiaba degli Stivali delle Sette Leghe. E il protagonista comincia a percorrere avanti e indietro tutta la Terra, alla ricerca di quello strano diavolo mercante. Cui, appunto, ha venduto l’Ombra ….vendita che è una sorta di dannazione faustiana. Perché, senza di lei, non può trovare pace. Né avere la Donna che ama…
Storia romantica, certo. Fantasia fiabesca. Con risvolti gotici. E cupi…
Sarà il meriggio pigro e Assolato di. Questo ultimo Sabato di Maggio. Sarà la malinconia che, spesso, viene con il sole e con l’estate. Ma mi torna in mente un insegnamento di don Juan al giovane Castaneda. Un insegnamento che ricordo spesso… Guarda con la coda dell’occhio – dice lo stregone yaqui – vedrai un movimento furtivo. Come un’ombra. È la tua Morte, che ti segue fedele da sempre. E che, un giorno, ti prenderà…
Già… İn Omero l’Averno altro non era che il regno delle Ombre. Chissà se aveva ragione…