Lo Stato italiano da sempre, svende le sue spiagge. Affitti irrisori, a scapito di spiagge libere che hanno sempre meno spazio. Le concessioni vengono prorogate periodicamente in modo quasi automatico agli stessi proprietari, con canoni d’affitto molto bassi, e la situazione è rimasta la stessa anche dopo che, 17 anni fa, la Commissione europea suggeriva formalmente all’Italia di liberalizzarle. Ogni volta che si è trovato davanti a una decisione da prendere, ogni governo italiano – di qualsiasi provenienza politica – ha scelto di prorogare la scadenza delle concessioni già esistenti, rinviando il problema ai governi successivi. La ragione è che gli stabilimenti sono meno di settemila ma rappresentano un bacino di voti importante.
Sono gli interessi di una lobby a scapito di un’intera comunità. Ogni anno, dopo gli innumerevoli rincari, ci troviamo a fare riflessioni sugli stabilimenti balneari. Ogni anno qualche italiano in più, scopre che i gestori pagano cifre ridicole per i canoni annuali di affitto. Ogni governo in carica finge di ignorare le due condanne europee all’Italia per concessioni marittime balneari senza gare. In compenso, il gigantesco regalo ai gestori delle spiagge, a scapito nostro, è puntualmente prorogato: l’ultima volta fino al 2034. Non appena finisce l’estate viene tutto dimenticato: delle concessioni balneari non se ne parla più fino all’anno seguente.
Ogni cittadino italiano dovrebbe avere ben chiaro che le concessioni balneari sono quasi 27.000, ma di queste ben 22.000 hanno valore inferiore ai 2.500 euro all’anno, pari a 200 euro al mese. Tutto questo senza gara e in continua proroga. Con l’aggiunta di una segnalazione che giunge direttamente dall’Agenzia delle entrate: due gestori su tre non dichiarano al fisco il dovuto dei loro incassi. Per avere un’idea della sproporzione, basta dare uno sguardo ai ricavi di uno stabilimento balneare.
Così a fronte di un giro d’affari ufficiale (esclusi i ricavi in nero, esentasse…) di oltre 2 miliardi di euro, è questo il fatturato degli stabilimenti balneari italiani, lo Stato incassa canoni complessivi per poco più di 100 milioni di euro. Per poi scoprire che, il noto imprenditore del turismo del lusso Flavio Briatore, con lo stabilimento più costoso d’Italia, il Twiga beach di Marina di Pietrasanta, con tariffe giornaliere che vanno dai 300 ai 1000 euro, paga allo Stato la bellezza di un canone annuo di 18.000 euro.
Briatore ha comunque il buonsenso di affermare, su il Corriere della Sera, che nel suo caso sarebbe congruo un canone non al di sotto dei centomila euro all’anno. Almeno dieci volte di più di ciò che paga ora. In Italia, lo scandalo delle spiagge regalate ai gestori balneari, non è esclusiva di un unico territorio ma di tutto il Belpaese. Il risultato è che ci ritroviamo con concessioni di stabilimenti balneari (collocati su terreni demaniali) date a tariffe irrisorie, con un enorme spreco di denaro pubblico. Tutti concordiamo sul fatto che affitti equi e di mercato diventerebbero, immediatamente, un rubinetto per realizzare molti obiettivi del governo. Togliendo inoltre ogni privilegio anche per la parte opaca dell’industria della balneazione, quella dove hanno agito indisturbati i clan della malavita.
I canoni di concessione di tutte le spiagge italiane rappresentano appena il 2 per cento del fatturato di tutti gli stabilimenti balneari del Paese. Praticamente le spiagge italiane sono state regalate a imprenditori, che legittimamente, fanno la loro attività turistica, ricreativa e di ristorazione. Nessuna volontà da parte dei vari governi, di agire contro questo spreco. Bisognerebbe ammettere che queste proroghe rappresentano una distorsione alla concorrenza, al mercato e alla libera attività imprenditoriale.
Le stesse riflessioni arrivano dall’Unione europea che considera l’Italia un caso unico in Europa, visto che in tutti gli altri paesi, a partire dalla Francia con la sua Costa Azzurra, le concessioni, con le relative tariffe, vengono revisionate ogni anno. La proroga una tantum, senza alcuna differenziazione, tra l’altro generalizza le situazioni dei gestori che invece possono essere molto diverse, e che quindi andrebbero distinte. Un conto è una piccola attività familiare, che viene svolta con un modesto utile di bilancio, e altra cosa sono le società che monopolizzano il lusso in spiaggia.