Per contrastare il caro-bollette di aziende e pubbliche amministrazioni e favorire il risparmio energetico, si vorrebbe riaprire un dibattito sullo smart working. Meno ore in sede significa meno consumi sia a livello di illuminazione e ancor più di riscaldamento.
Ma non solo, lo smart working torna ad essere protagonista anche nella battaglia ambientale: meno lavoratori che si recano a lavoro significa meno creazione di C02, cioè meno inquinamento.
È stata sicuramente l’emergenza covid, a mettere in moto, una rivoluzione senza precedenti. Adesso la crisi energetica potrebbe rappresentare una svolta innescando un’adozione massiccia del lavoro agile oltre ogni previsione. Quindi una riduzione della domanda di energia, evitando gli spostamenti dei lavoratori. Anche in ragione dei cambiamenti in atto nell’economia è necessario andare avanti nel processo di trasformazione delle modalità di organizzazione del lavoro e per questo è fondamentale continuare a investire sullo smart working.
È indubbio che l’utilizzo più razionale dello smart working potrebbe consentire alle aziende di ridurre tra il 30% e il 50% gli spazi e i loro costi e al Paese di abbattere fino a 2,5 milioni di tonnellate di C02. Per fare fronte alla crisi energetica e all’aumento dei costi delle bollette una delle ipotesi può essere la riconversione di parte dei risparmi ottenuti dalle aziende in bonus per contribuire alle spese energetiche dei lavoratori. Anche se i cittadini italiani, contrariamente a quanto sta accadendo nel resto d’Europa, non stanno accettando di buon grado, di continuare a lavorare fra le mura domestiche. Infatti secondo i risultati di un’indagine di Ranstad Research, l’Italia ha rallentato la propria corsa allo smart working: su circa 8 milioni di potenziali lavoratori da remoto solo un terzo è “smart worker” almeno un giorno a settimana contro i 12,2 milioni del 2020. Un trend in controtendenza rispetto agli altri Paesi europei che proseguono con un’accelerazione verso il lavoro agile.
I lavoratori evidenziano problematiche come i costi dell’energia al pari con la questione del diritto alla disconnessione. Gli statali come i dipendenti delle aziende private non vogliono rimetterci economicamente per colpa delle bollette salate a casa. Nella Pubblica amministrazione i lavoratori ora si oppongono allo smart working in assenza di rimborsi per l’energia. Accade lo stesso nelle aziende private, dove gli accordi, non sono chiari e obbligatori.
Una preoccupazione fondata dei lavoratori, dato che la questione dei mancati rimborsi spese per luce e gas impatterebbe su circa 800mila statali. Si potrà in futuro erogare agli smart worker una speciale indennità come forma di rimborso spese, ma solo una contrattazione integrativa potrà dare una svolta alle decisioni in merito. Peccato che le amministrazioni pubbliche siano al collasso, poche le risorse da cui attingere per venire incontro alle esigenze dei propri dipendenti, a cui lo smart working non conviene più come in tempi di pandemia. Alla problematica delle bollette si aggiunge poi quella dei buoni pasto, molti piani attuali per il lavoro agile, sancisce che «durante le giornate di attività in lavoro agile il dipendente non matura il diritto all’erogazione del buono pasto». I buoni pasto sono uno dei benefit più richiesti da chi lavora. Quindi serve al più presto un tavolo per stabilire condizioni precise.