Padroni a casa nostra! Uno slogan che, nella realtà dei fatti, è condiviso non solo dalle destre sovraniste, ma anche da quella sinistra immigrazionista tanto favorevole alle invasioni a patto che i nuovi arrivati siano confinati in altri quartieri, in altre città. Perché, poi, quando l’ospite – invitato o meno – si avvicina troppo, allora scatta il riflesso sovranista: padroni a casa nostra. E la casa può essere il condominio, il quartiere, il paese, la regione.
Così come il nuovo arrivato può essere il migrante africano, un italiano di un’altra regione, un compaesano emigrato che vuole tornare a casa. E se proprio bisogna accoglierlo – magari perché possiede una casa in cui andare a vivere – gli si spiega subito che deve stare muto, non deve interferire con la gestione quotidiana, non deve esprimere pareri, non deve protestare per nessun motivo, non deve proporre iniziative neppure se particolarmente intelligenti. Soprattutto se particolarmente intelligenti.
Il forestiero, anche se si tratta di un emigrante che ritorna a casa, non ha diritti politici nel senso della partecipazione alla vita del territorio. Può votare, ma solo in casi estremi, deve pagare tasse e tributi. E basta.
Una scelta anche legittima, sulla base del “padroni a casa nostra”, che però si scontra con le pretese ufficiali e pubbliche. Le grandi città vogliono attrarre giovani preparati, professionisti affermati, manager di altissimo livello. E si indignano, gli amministratori, quando queste élite non arrivano perché non sopportano scuole che non preparano i loro figli, spaccio di droga in ogni angolo, sporcizia, violenza, iniziative culturali di una noia mortale.

I paesi più piccoli, al contrario, si lamentano per lo spopolamento. Ma non vogliono che ad arrivare siano i migliori, i più preparati. Perché se no, appena trasferiti, hanno la cattiva abitudine di pensare e di proporre. Magari facendo emergere errori e lentezze di chi non ha saputo evitare lo spopolamento, di chi non sa far crescere (non solo numericamente) il territorio. Dunque benvenuti i cittadini che si trasferiscono in campagna, al mare, in montagna, purché si limitino a pagare. Ma in silenzio. Perché a casa nostra siamo padroni e siamo liberi di continuare a sbagliare.
Nessuna voglia di trasformare i piccoli borghi in nuovi poli di elaborazione di idee, di aggregazione delle migliori risorse intellettuali. Nessuna voglia di un nuovo Rinascimento. Si dichiara di volere le élites ma nella pratica i benvenuti sono solo braccianti, lavapiatti, manovali.
Legittimo, però sarebbe anche giusto smettere di lamentarsi.