8 Dicembre. La Festa dell’Immacolata. Ed è, di fatto, già inverno. Certo, non da un punto di vista astronomico. Ma il cielo è grigio, freddo. E la pioggia, che cade sottile, gelida. Il vento, poi, sa di neve. E vedo che sui monti nevica, anche a bassa quota.
Paesaggi innevati mi raggiungono attraverso i Social. Qui, a Roma, la neve si può solo intuire, più che davvero vedere, in lontananza.. Sui monti di Abruzzo. Qui, anche sui Tiburtini e il Soratte, nevica di rado. Per fortuna, perché, nelle poche occasioni, la città, già di per sé invivibile, diventa un autentico inferno.
Ma la neve in montagna è altra cosa. Trasmette non una sensazione di gelo. Al contrario, di calore. Evoca immagini di ceppi che ardono nei caminetti. Di baite di legno ben coibentate. Di zuppiere fumanti, alberi di Natale, vin brulè, plaid dai colori vivaci…
Sì, lo so…è facile retorica. E anche un po’ melensa, ad essere onesti. Ma, vedete, a me la prima avvisaglia dell’inverno mette addosso una, strana, allegria. Quasi una sorta di ebrezza, senza bisogno di bere. Sarà perché proprio in questi giorni, in epoche remote, si celebravano le Feste di Fauno. Che seguivano quelle di Diana e, soprattutto, preludevano ai grandi Saturnalia… E Fauno è divinità, o meglio spirito allegro e sfrenato. Tutte cose, impulsi di cui, oggi, ci sarebbe un gran bisogno. Per spezzare questa, greve e grigia, coltre di psicosi che tutto opprime…
Certo, erano altri tempi. E qui, sul Lazio, nevicava più spesso. Basta leggere Orazio, per altro cosa da fare nelle sere invernali. Parla del Soratte che imbianca. Come i capelli con gli anni. E invita il coppiere a portare un altro otre, di Falerno o Cecubo. E mescere, senza avarizia. Poco importa, aggiunge, se ti dimentichi l’acqua…
Comunque, torniamo alla neve. Ai paesaggi innevati. Sospesi, come sempre nella mia mente, tra memorie di momenti vissuti, e ricordi di libri o film…che, poi, ad essere sincero, non si distinguono ormai più fra loro. Perché, comunque, parte di me.
L’immagine di un treno, una vecchia vaporiera, che avanza a stento fra due mura di neve. Una sensazione di gelo, che contrasta con l’interno dei vagoni. Comodi, accoglienti, lussuosi… Come erano i treni per i lunghi viaggi, un tempo. Meno veloci, certo. Tuttavia permettevano di trascorrere il tempo in modo piacevole. Di godere del mutevole paesaggio. Di conoscere persone. Conversare. Avere avventure, amorose e/o misteriose. Leggete Evelyn Waugh, “Quando viaggiare era un piacere”. E comprenderete a cosa abbiamo abdicato in nome della velocità..
Ma quel treno è il Treno per eccellenza. L’Orient Express. Da Londra ad İstanbul, passando per i Balcani. Il treno dei misteri. Dei delitti. Degli intrighi internazionali. E a bordo, Poirot. Uscito dalle pagine più celebri di Lady Agatha. Ed incarnato in diverse traduzioni cinematografiche…
Tracce di vecchi film…e di libri. “Tracce nella neve”, il titolo di un piccolo capolavoro di Gregor von Rezzori. Che di capolavori, ben maggiori, ne ha scritti molti…ma questo è un tessuto sottile di memorie, la Bucovina della sua infanzia e la ricerca, seguendo, appunto, labili tracce, di un passato perduto…nel quale, però, vi sarebbe molto da riscoprire…
(non sapete cosa diamine sia la Bucovina? Già, a scuola di geografia se ne fa ben poca…figurarsi di geografia storica…)
Comunque, la neve diventa metafora della memoria. Dove un vento improvviso sembra far sparire ogni traccia del passato. Ma le impronte restano. In profondità. Impresse nel ghiaccio. E solo coperte da un pulviscolo di nevischio fresco e farinoso…
E poi la “Neve” di Pamhuk. Anche lì scenario, e al contempo protagonista occulta, dove un uomo, uno scrittore, torna alla ricerca di se stesso. In un’insoilita provincia anatolica, attraversata da rancori, tensioni, lotte. E sospesa fra un passato remoto e un futuro inquietante.
E, intanto, guardo immagini che mi giungono dal web.
San Candido coperta da una coltre innevata. Le luci che ne fanno una sorta di Villaggio magico. Il luogo ove, nell’immaginario, potrebbe risiedere Santa Claus… E riconosco, in quelle foto, paesaggi e vie un tempo familiari. E locali. Il Cavallino Bianco, che evocava l’ambientazione di una famosa operetta di Ralph Benatzky. Una delle ultime (fu composta nel 1929) in cui ancora scintillava lo spirito nostalgico della Felix Austria… La vidi, ragazzo, nell’edizione italiana. Con un irresistibile Paolo Poli nella parte di Sigismondo, il seduttore…
Era un altro Cavallino Bianco, naturalmente. Sul Wolfangsee, in Austria. Dove Oskar Blümenthal aveva scritto l’omonima commedia. Alla fine dell’800, quando ancora l’Austria era felice. E l’Europa…meglio non pensarci.
Ma io ricordo il locale di San Candido. E grandi boccali di birra. Gli enormi piatti di carni grigliate, canederli, salse, crauti. E la compagnia degli amici…
Altra immagine. Altra foto. Una chiesa sotto una fitta nevicata. Passanti imbaccuccati. E le luci del Natale. Pergine Valsugana. Non ho bisogno di leggere la didascalia. La riconosco immediatamente. Di fronte comincia il corso che porta alla Piazza del Municipio. Il ristorante “Cavalet”, dove tante volte ho cenato. Poi, sulla piazza, la pergola del Volt. Me li immagino circondati da cumuli di neve. E mi sembra di sentire sulle labbra il sapore asprigno del Marzemino. Ricordi più recenti. Ma sempre felici. Sguardi, sorrisi. E risate.
La neve, in questo caso la sensazione della neve, è per me sempre collegata a memorie, più o meno antiche, che riscaldano. I sensi e il cuore, direi, se non fosse un po’ retorica ottocentesca…
Guardo il cielo grigio, al di di là del vetro… (ma sei sempre lì che guardi dalla finestra? dirà qualcuno. Beh, sempre meglio che accendere la televisione, spenta da due anni, e vedere certe facce alla Scala…).
Potrebbe davvero nevicare anche qui… Mio figlio sarebbe felice. La neve gli manca.
Ma, per me, non sarebbe la stessa neve…