È ospitata a Palazzo Reale di Milano la prima mostra retrospettiva dedicata in Italia a Max Ernst, pittore, scultore, poeta e teorico dell’arte tedesco, poi naturalizzato americano e francese.
L’esposizione, promossa e prodotta dal Comune di Milano e da Palazzo Reale con Electa, in collaborazione con Madeinart, è curata da Martina Mazzotta e Jürgen Pech.
Il lungo lavoro di studio e di indagine compiuto dai curatori ha permesso di includere tra i prestiti, circa un’ottantina di dipinti, anche opere e documenti non esposti al pubblico da parecchi decenni. Le opere esposte sono oltre quattrocento tra dipinti, sculture, disegni, collage, fotografie, gioielli e libri illustrati provenienti da musei, fondazioni e collezioni private in Italia e all’estero, tra cui la GAM di Torino, la Peggy Guggenheim Collection e il Museo di Ca’ Pesaro di Venezia, la Tate Gallery di Londra, il Centre Pompidou di Parigi, il Museo Cantini di Marsiglia, i musei statali e la Fondazione ARP di Berlino, la Fondazione Beyeler di Basilea e il Museo Nazionale Thyssen-Bornemisza di Madrid.
I temi affrontati si spalmano su sessant’anni di storia del Novecento, tra Europa e Stati Uniti.
Pittore e scultore tedesco nativo di Brühl, nei pressi di Colonia, Max Ernst si può considerare il più importante esponente del Movimento Surrealista. Dalla commistione dell’immagine e della parola poetica negli esperimenti di scrittura automatica, nacquero i suoi collage e i suoi romanzi-collage, tra le opere più rappresentative delle teorie dell’arte surrealista. Nella sua produzione figurano anche sculture, tra cui quella intitolata “Capricorne” del 1948 e “Objects trouvés”, oltre che composizioni e paesaggi fantastici. Ottenne il primo Premio per la pittura alla Biennale di Venezia del 1954.
Di Max Ernst, originario della Renania, e poco più giovane di Duchamp, sono evidenti, già a partire dalle prime sale della mostra, il polimorfismo e la duttilità dell’opera.
Queste prime sale seguono un criterio cronologico che si andrà perdendo nelle sale successive, che rispondono a un criterio maggiormente tematico. Lo sviluppo del suo stile è raccontato dai primi disegni, tra i quali figura un giovanile ritratto a matita della sorella Loni, risalente al 1909, passando poi alla “Donna seduta con cappello” del 1913, che rivela una certa dimestichezza col Movimento Espressionista tedesco.
A partire dai trent’anni, Max Ernst comincia una sperimentazione instancabile, artistica e di vita, che durerà fino all’anno della sua morte, avvenuta nel 1976. A partire dai primi anni Venti egli sperimenta, infatti, collage e fotomontaggi molto diversi dai “papier collés” dei cubisti e dei dadaisti. I cubisti usavano il collage come uno strumento per fare entrare nel quadro frammenti di vita quotidiana, quali spartiti musicali e carta di giornale; Max Ernst lo usava per crearsi da zero un sistema ermetico e personale. In mostra si possono ammirare alcune tavole del suo romanzo-collage intitolato “Una settimana di bontà”, che riuniscono illustrazioni scadenti provenienti dai romanzi d’appendice, d’amore o di avventura, ritagli di vecchie enciclopedie con una modalità passata dal Surrealismo alla Pop Art.
Di Max Ernst è in mostra anche una grande tela del 1922 che sembra essere ripresa da quadro di De Chirico, dal titolo “Edipo Re”, ma con una prospettiva quattrocentesca tutta sovvertita: una grande mano spunta da una parete a mattoncini, porgendo una noce trafitta da un arco e una freccia, che si conficcano come spilli, da due creature con il collo intrappolato da una struttura in muratura. Una di queste due creature è rappresentata da un uccello con gli occhi umani, truccati da sciantosa del varietà. “Edipo Re”, realizzato appena due anni prima dell’uscita del Manifesto del Surrealismo di André Breton, avvenuta il 18 ottobre del 1924, è esso stesso un manifesto pittorico. Ne emergono l’Ermetismo dei simboli, i temi freudiani, il sogno inteso come miniera di tematiche e motivi e un inquietante senso di tabù sessuale.
Nell’opera “Bacio” del 1927, proveniente dalla collezione Peggy Guggenheim di Venezia (Max Ernst ne fu per poco tempo il marito agli inizi degli anni Quaranta), notiamo una saldatura tra il Surrealismo onirico e metafisico di Ernst e quello plastico e sensuale di Picasso: le terre paiono ancora simili a quelle del Maestro De Chirico, ma il turchese del cielo presente nell’opera ricorda quello presente in certe bagnanti dell’artista spagnolo. Allo stesso anno appartengono i paesaggi surrealisti dal titolo “Bosco di spine rosse” e “Foresta e colomba” in cui è presente il tema del pennuto, stilizzato come in una certa arte precolombiana. Significativa anche la presenza dell’opera dal titolo “Foresta”, rappresentante esemplari di alberi fitti di segni e incisioni misteriose.
È un prestito proveniente da una collezione privata svizzera l’opera intitolata “L’angelo del focolare” del 1937, ancora una volta una sorta di uomo-uccello simile a Frankenstein, composto da parti colorate di altre creature. Max Ernst spiegò di averlo dipinto dopo la caduta dei repubblicani in Spagna. “L’angelo del focolare” anticipa tutte quelle creature mostruose nate nella cultura popolare del dopoguerra.
In mostra si narrano anche gli anni dell’infanzia e della formazione in Germania, fonti di memoria e di ispirazione per tutta la vita dell’artista; la Grande Guerra, combattuta in prima persona da Ernst, è paragonata a un periodo di morte; la Resurrezione rappresenta un ritorno alla vita; seguono il matrimonio e la nascita del figlio Jimmy, l’avvento rivoluzionario di Dada, l’invenzione del collage, la prima mostra in Francia e il Protosurrealismo.
Le due sale successive inquadrano la seconda parte della biografia dell’artista e gli anni trascorsi in Francia tra il 1922 e il 1940.
Nella terza sala viene riproposta una ricostruzione, integrata con frammenti originali, della casa affrescata di Eaubonne, in cui Ernest visse il ménage a trois con Gala e Paul Eluard. Il ruolo centrale dell’amore, dell’amicizia e dell’erotismo diventa così protagonista della sala.
La quarta sala è dedicata al tema dell’Eros e delle metamorfosi; l’esposizione prosegue narrando gli anni trascorsi da Ernst in Francia, a Parigi, l’affermazione del Surrealismo, il secondo matrimonio con Marie Berte e l’amore con Leonora Carringhton, gli scambi e le collaborazioni con i protagonisti delle avanguardie, i viaggi, le sperimentazioni e l’avvento della Seconda Guerra Mondiale, in cui sperimentò una prigionia da artista degenerato, ricercato dai nazisti.
Grazie al supporto del figlio Jimmy e di Peggy Guggenheim, l’artista conoscerà l’esilio negli Stati Uniti, seguito dall’inserimento nella scena internazionale di New York, dal grande amore e dal matrimonio con Dorothea Tanning, e il successivo trasferimento in Arizona a Sedona, in una casa costruita e decorata dagli artisti. Questi episodi di vita sono il tema delle sale in cui sono ospitate opere raffiguranti i quattro elementi (foreste-terra, uccelli-aria, mare-acqua, orde-fuoco), la natura è visione e costituisce il piacere di creare delle forme. In queste sale emerge, in particolare, il ruolo assunto dalla natura e dal paesaggio dell’invenzione di tecniche quali il frottage, il grattage, la decalcomania e il drapping, fondamentali per la creazione dei filoni del Fantastico e del Meraviglioso, oltre che nel campo della scultura e dell’oreficeria.
L’ottava sala è dedicata alla Memoria e alla Meraviglia, raccoglie opere quali “Pietà o la rivoluzione della notte” del 1923, “L’antipapa” del 1941, “Sogno e rivoluzione” del 1945-46, fino alle più tarde “Tra le strade di Atene” 1960 e “Ritratto di un antenato” del 1974.
L’ultima sala è dedicata a Cosmo e alle criptografie; arte e scienza, negli anni precedenti lo sbarco dell’uomo sulla Luna, dialogano nelle opere di Max Ernst aprendo sguardi inediti sul cosmo e coinvolgendo scienze come l’astronomia, l’antropologia, la fisica e la patafisica. Sono qui esposte opere e libri che introducono alle straordinarie scritture segrete dell’artista, e a quelle criptografie che vanno al di là dei linguaggi codificati, per svelare i misteri del cosmo.
Palazzo Reale di Milano da martedì a domenica, ore 10:00/19:30
Giovedi chiusura alle 22:30
Ultimo ingresso un‘ ora prima
Lunedi chiuso