Ben pochi, anche tra gli appassionati di archeologia, e tra gli stessi addetti ai lavori, sanno dell’esistenza di una disciplina “scientifica” denominata Paleoscatologia.
Io stesso l’ho scoperto solo di recente, e per caso. Eppure, nei miei, ormai, lontani anni universitari, gli studi archeologici avevano rivestito una grande importanza. Paleontologia, archeologia Sumerica, Civiltà Egea, Filologia Micenea, Etruscologia…insomma di roba strana ne ho studiata, e più o meno digerita, parecchia. Ed ho incontrato dei tizi che diventavano pazzi di gioia per un frammento di pietra scheggiato (forse) da un cacciatore del paleolitico, per una punta di osso usata come arpione, per una decorazione di collana ricavata da zanne di cinghiale..
Sinceramente, li ho sempre capiti ben poco. Per me l’archeologia è sempre stata altro. In parole povere, una cosa è la Tomba degli Atridi a Micene. Altra una fossa in una Landa desolata dell’Europa centrale. Una cosa la Maschera di Agamennone. Altra un mucchietto d’ossa con un filo di rame….
Comunque, ognuno ha le passioni e gli interessi che sente più confacenti alla sua natura. E poi (forse) tutto può, in questo campo, contribuire a ricostruire la complessa, e controversa storia dell’uomo.
Però la Paleoscatologia proprio non me l’aspettavo. L’ho scoperta leggendo di un “coprolite vikingo” del IX secolo. Ritrovato in Inghilterra. E che un esperto del settore ha, testualmente, definito “più importante dei gioielli della Corona”.
Dunque, uno stronzo. Perché, mi scusino le gentili signore, coprolite significa “sasso di cacca”. E la Paleoscatologia è, letteralmente, lo studio degli stronzi. Perché questo significa, in greco, skatòs.
Preciso che non sto facendo lo spiritoso a buon mercato. La paleoscatologia esiste veramente. E vi sono davvero dotti studiosi che si dedicano, con acribia e passione, alla ricerca, e poi allo studio delle cacche dei nostri antenati. Ormai divenute fossili, ovviamente.
Questo, secondo gli esperti, ci permette di ricostruire aspetti della vita di popoli e culture antiche che altrimenti ci resterebbero totalmente ignoti.
Ad esempio questo, famoso, coprolite vikingo ci permette di sapere che il suo produttore si nutriva prevalentemente di carne e pane. E che soffriva di parassiti intestinali.
Sarà anche una grande scoperta….però, scusate, di che doveva nutrirsi secondo voi un predone danese del IX secolo? Di sushi? Di banane? Di noci di cocco e spaghetti al pomodoro?
Carne mangiava. E pane. Quello c’era.
E i parassiti vi sorprendono? Perché, pensavate che avessero a disposizione celle frigorifere per conservare il cibo? E che su quello che mangiavano ci fosse la data di scadenza come imposto dalla Ue? Che, per incisio, la fa apporre anche ai barattoli di miele. E il miele è stato ritrovato perfetto, integro nelle piramidi egiziane. Il miele non conosce corruzione. Il miele guasto è, al massimo, una licenza poetica di D’Annunzio (vedi “Nella Belletta” in Alcyone)…
Comunque, questa paleoscatologia avrà anche una sua funzione e importanza. Però stento a immaginarmi un novello Indiana Jones che ricerchi, invece che l’Arca, il, preziosissimo strz* perduto…
E la fantasia vacilla al pensiero di un congresso di paleoscatologi, e, soprattutto, del livello del, dotto, dibattito…
La disciplina in questione, però, sembra essere prevalentemente coltivata nel mondo anglosassone. Ma non dubito che, presto, prenderà piede anche da noi. Il nostro mondo accademico, i nostri storici, o nostri intellettuali mi sembrano avere una naturale vocazione per questo genere di studi.
Lo dimostrano quotidianamente con le loro prese di posizione in vari ambiti e su diversi temi. Dal ritratto di Mussolini (da togliere) al corso su Dostoevskij (da cancellare). Dalla polemica sul genere delle parole (avvocata, dottora… e via discorrendo) alle crociate contro una, presunta, deriva razzista del paese…
Insomma la vocazione e l’esperienza per occuparsi di “skatòs” c’è. Basta ora solo istituire la prima cattedra.
Per i candidati i nomi si affollano e sprecano. Saviano, la Murgia, Mentana… E non dimentichiamo che presto Enrico Letta sarà disoccupato…. Perché lasciarlo di nuovo andare in Francia?