Il presidente francese Emmanuel Macron e l’omologo iraniano Raesi hanno avuto una lunga telefonata. Molto lunga. E difficilmente hanno trascorso un’ora e mezza per informarsi sui luoghi delle reciproche vacanze estive o sullo stato di salute dei famigliari. In realtà pare che si siano accordati su nuovi affari economici tra i due Paesi e, soprattutto, che si siano discussi nuovi passi avanti per arrivare ad una intesa definitiva sul nucleare. All’intesa, cioè, che non piace ad Israele e Stati Uniti ma che convince quei leader europei che non si limitano ad attendere gli ordini di Washington per ogni minima presa di posizione in politica estera.
È evidente che le relazioni sempre più strette tra Teheran e Mosca, anche in ambito militare, e poi quelle tra Teheran e Pechino che hanno portato a nuovi rapporti anche tra Iran ed Arabia Saudita, imponevano all’Europa di non restare ferma a guardare. Ma per avere un ruolo nella partita occorreva liberarsi, almeno per qualche istante, dal giogo statunitense. Non potevano certo farlo i maggiordomi italiani e neppure l’opaco cancelliere tedesco.
Dunque toccava a Macron. Obbligato a muoversi sul fronte internazionale, poiché quello interno è troppo mal messo per sperare in una ripresa. Ma avere una politica estera significa almeno far finta di non essere al guinzaglio di Biden. Significa avere una visione meno ottusa della realtà globale e, soprattutto, di quella più vicina all’Europa.
I nuovi scenari nel Vicino Oriente determinano cambiamenti che devono essere affrontati e governati sulla base dei dati di realtà e non della fantasia di qualche politicante italiano. E se c’è la volontà di stringere accordi e di trovare soluzioni che accontentano tutti, o che non scontentino troppo nessuno, basta una telefonata. Senza bisogno di show mediatici, di abbracci e baci seguiti da dichiarazioni clamorose e da fatti irrilevanti.