“Parigi era viva”. A volte i titoli vanno oltre le intenzioni di chi li inventa e diventano una clamorosa riproposizione di una realtà che si era cercato di nascondere. Torino – e quale altra città, se no? – al Museo Accorsi-Ometto, ospita dunque la mostra “Parigi era viva. De Chirico, Savinio e les italiens de Paris (1928-1933). Pregevole esposizione di una settantina di opere dei fratelli De Chirico e Savinio e di Massimo Campigli, Filippo de Pisis, René Paresce, Gino Severini e Mario Tozzi. I sette che, nel loro soggiorno nella capitale francese, hanno indirizzato la pittura transalpina ed europea, oltre a ridisegnare quella italiana.
”Un nuovo classicismo mediterraneo trasognato – spiegano le curatrici della mostra – con qualche inflessione surreale e neo-metafisica, in equilibrio tra reale e fantastico, storia e mito, tradizione e avanguardia”.
Ma questi sono gli aspetti prettamente artistici. Mentre quel provocatorio “Parigi era viva” amplia l’orizzonte e testimonia l’influenza culturale che l’Italia tra le due guerre ha avuto sulla Ville Lumière e, di conseguenza, sull’Europa intera. Certo, Parigi era viva anche di suo, per l’incredibile capacità di “fare cultura”, di assorbirla dai tanti europei che venivano attirati dalla vitalità della città, dai suoi pittori, dai suoi circoli letterari. Una città che sapeva valorizzare i migliori, che sapeva riconoscere il merito, che non era ancora stata annichilita dall’osceno politicamente corretto.
Les sept italiens si conquistarono gloria con opere che spiazzavano la pittura prebellica. Con i rimandi classici ed un personalissimo ritorno all’antico di De Chirico; con il classico trasferito nella contemporaneità di Savinio; con il recupero dei modelli etruschi di Campigli; con la strana pennellata di de Pisis inserita in un nuovo utilizzo del colore; con il disorientamento di Paresce trasformato in pittura; con la purezza formale di Severini che rilancia i temi della italianissima Commedia dell’Arte; con la riplasmazione della materia e delle forme di Tozzi.
Ma per poter affermarsi con una nuova pittura, occorreva una città viva, ricca di idee, di spunti, di contraddizioni. La Parigi degli Anni 20/30. Non a caso gli artisti tornarono in Italia nel momento in cui sentirono che la creatività parigina stava esaurendosi. Che l’ombelico culturale del mondo non era più lungo la Senna. Iniziava quel declino che avrebbe avuto una interruzione negli anni della Nouvelle vague, dell’esistenzialismo. Per poi trasformarsi nel vuoto cosmico del politicamente corretto, privo di ogni capacità creativa. Da Ville Lumière a megalopoli dei monopattini per compiacere Madame Hidalgo.
Si può pur sempre sognare una inversione di tendenza. E la mostra del museo Accorsi-Ometto rappresenta anche l’unica iniziativa che vada nella direzione di un’alleanza strategica tra Italia e Francia. Alleanza perdente, per l’Italia, in ambito economico. Ma che offre ampi spazi a chi si ricorda ancora cos’era la cultura prima dei politicamente corretti.