Oggi c’è nebbia….Oddio , come può esserci qui, che nebbia vera ben di rado, se non mai si fa vedere. Più che altro sono nuvole basse, che rendono scarsamente visibili i monti… così puoi solo intuire il Castello, avvolto in una nube di mistero. Come in un racconto di Radcliffe o di Stoker, i maestri dell’orrore gotico.

“Devi vedere la nebbia che c’è qui – mi dice al telefono – Dalla finestra, non vedi neppure la casa di fronte. E saranno venti metri…”
La Val Padana, soprattutto la Bassa, è così .
La nebbia, quando cala, cancella tutto. O meglio, ingoia ogni cosa.
Per questo, Michael Ende rappresenta il Nulla che avanza, e che sta annientando Fantàsia, come un oscuro volto di lupo, che sbuca da una fitta nebbia… O, per lo meno, così il suo racconto viene reso nel film…. che a Ende, nel complesso, non piaceva. Perché gli sembrava tradire la complessità della sua narrazione.
Però l’immagine della Nebbia, ovvero il Nulla che avanza è suggestiva. Potente. Evoca antichi miti germanici. Il Nibelheim, la terra nebbiosa dei Giganti. Che alla fine dei tempi, si scaglieranno per distruggere Asgard e Mittgard. La Terra degli Dei, e quella degli Uomini.
“Tu finisci sempre con il parlare di miti – mi dice, e capisco dal tono che sta sorridendo – Vuoi sempre trasformare tutti in fiaba…”
Vero. Però la nebbia, una giornata di fitta nebbia, si presta, no?
Anche perché nasconde i contorni usuali delle cose. Li altera. Li trasforma.
Ricordo, tanti, tantissimi anni fa. Ritornavo con M., amico di tutta la vita, da Santa Maria di Sala. Che è un paese tra Venezia e la bassa padovana. Terra del graticolato romano. I quadrati di terreno agricolo, detti centurie, che venivano assegnati ai veterani delle legioni. In premio per i tanti lustri di servizio.
Ed è terra di canali e fossi. Le strade attorte, chè le secolari esondazioni dei fiumi, il Brenta, il Muson ed altri, hanno cancellato la linearità delle antiche strade romane.

E quella notte non si vedeva una mazza…. nebbia, solo nebbia. La strada conosceva svolte improvvise, curve inattese… e se non le vedevi, c’era subito il fosso. Fangoso, e, a tratti, profondo.
Procedevamo a passo d’uomo. Ma non bastava. La nebbia rendeva quasi invisibile persino il cofano dell’auto. Così sono sceso. E ho fatto, per un tratto, da apripista, con una pila. Per vedere dove la strada svoltava. Dove si apriva il fossato.
Strana sensazione. Mi sembrava di camminare in un altro mondo. Un mondo sospeso. Dove nessuna cosa aveva sostanza. Solo la nebbia era reale. Le forme che, a tratti, apparivano, alberi, case… sembravano… inconsistenti. Della stessa sostanza dei sogni… per dirla con Shakespeare.
“Però, a te la nebbia piace… ne parli spesso. E quando stavi a Roma, ne avevi nostalgia…”
È vero. Ricordo che lo dissi anche a E, mia cugina. A Ferrara, l’ultima volta che ci vedemmo. Mi chiese di cosa sentissi la nostalgia vivendo a Roma.
“Ti sembrerà strano… ma mi manca la nebbia…” Lei mi guardò.
“Non mi sembra strano affatto… ti capisco”.
Già, perché la nebbia è qualcosa che ti ritrovi nel sangue. Chi è nato altrove, in terre assolate, non può capire. La soffre e basta.
Ma se sei di qui, ce l’hai dentro. È una forma della malinconia. Del, cosiddetto, humor filosofico.
Forse perché ti mette, di continuo, di fronte al nulla. Ti costringe a fare i conti con il futuro. O quello che consideriamo tale. E ti dona un senso di… inconsistenza. Di provvisorietà e illusorietà del mondo in cui viviamo. O crediamo di vivere…

Sospira.
“Decisamente devo venire al più presto… il Castello tra le nubi non me lo voglio perdere…”
Guardo verso la vecchia rocca. Le nuvole ci sono ancora. Ma il sole, ora alto, le rende come d’oro… non è più il castello gotico. Ora sembra un luogo di fiabe….