Guerra. Duecento fotografie, ed alcuni filmati, raccontano i conflitti visti da Paolo Pellegrin, fotografo romano dell’agenzia Magnum. In mostra alla Reggia di Venaria. Guerre tra gli uomini, soprattutto, ma anche una guerra ambientale meno evidente non per questo meno pericolosa. Immagini strazianti, choccanti, crude. Bambini e donne, giovani uomini ed anziani. Vittime o protagonisti, occhi terrorizzati, dolore infinito che si porteranno ovunque andranno, per tutta la vita.

Paradossalmente, o forse no, lo sguardo più impressionante non è di un bambino di Mosul o dei territori palestinesi dove le bombe israeliane hanno bruciato la carne di giovani rovinati per sempre. No, nel fondo degli occhi di questi infelici si riesce a scorgere un lampo di speranza. Che è invece totalmente assente nello sguardo di un ragazzino afroamericano. Benestante, vestito con cura, con costose cuffie per ascoltare la musica. Eppure completamente spento. Nessuna disperazione, nessun dolore, nessuna speranza. Il nulla racchiuso in occhi aperti su un mondo assurdo.

Di fronte a quello sguardo diventano quasi ottimistiche le immagini di altri afroamericani arrestati dalla polizia, diventano allegri i filmati dei migranti siriani che approdano sulle isole greche e che festeggiano lo sbarco. Ma a raccontare il dramma del ragazzino afroamericano è la differenza abissale con il filmato relativo alla conquista di un villaggio in Medio Oriente: la battaglia è finita, i morti ed i feriti sono alle spalle, i prigionieri sono già stati spostati e gli uomini, vittoriosi, ridono e scherzano intorno al fuoco. Si passano le armi, festeggiano, allegri e fiduciosi nel futuro. Poco importa se domani rischieranno di essere loro quelli sconfitti, prigionieri o morti.

Perché oggi sono vivi e felici. Il ragazzino afroamericano forse è vivo, sicuramente non è felice.