La pena di morte è legale, oggigiorno, ancora in moltissimi Paesi. In Italia questo tipo di sanzione penale è rimasta in vigore fino al 1889; in quell’anno entrambe le Camere ne approvarono l’abolizione, segnando nella storia della democrazia e dei diritti umani un passo importantissimo.

Un inciso sulla pena di morte
La pena capitale, o pena di morte, altro non è che una sanzione penale che prevede di privare il condannato della sua stessa vita. La punizione viene inflitta nel caso di crimini considerati gravi – sempre in riferimento alla legislazione vigente in un determinato Paese. In cosa consistevano – e consistono ancora oggi – tali crimini? Assassinio, eresia, tradimento della patria. Col passare del tempo e l’avanzare della democrazia, numerose associazioni della portata di Amnesty International o Nessuno tocchi Caino si sono schierate contro questa brutalità; malgrado ciò, però, ancora 80 nazioni la adottano. Inutile dire che il dibattito generatosi attorno a questa questione sia tuttora aperto e molto acceso.
Esecuzioni in tempo di pandemia
Secondo un rapporto di Amnesty International del 2020, l’incedere della pandemia da Coronavirus non ha impedito a 18 Stati di continuare ad eseguire le condanne a morte. Il suddetto rapporto mostra una tendenza mondiale alla diminuzione dell’utilizzo di questa pena ma durante l’ultimo anno alcuni Stati, soliti a praticarla, hanno raddoppiato il numero di esecuzioni.
L’Egitto ha addirittura triplicato le esecuzioni rispetto al 2019, la Cina ha applicato la pena di morte anche in casi di reati relativi alla violazione di misure di prevenzione e contenimento della pandemia. Non dimentichiamoci degli Stati Uniti e dell’amministrazione Trump; l’ex Presidente degli USA aveva deciso di ripristinare le esecuzioni federali dopo 17 anni mettendo a morte 10 condannati in meno di sei mesi. A questo proposito Agnès Callamard, segretaria generale di Amnesty International ha dichiarato:
<< La pena di morte è una punizione abominevole e portare a termine esecuzioni nel mezzo di una pandemia ne ha ulteriormente evidenziato la crudeltà. Contrastare la pena di morte è già difficile quando le cose vanno bene, ma la pandemia ha fatto sì che molti prigionieri nei bracci della morte non abbiano potuto incontrare di persona i loro legali e che molti che hanno cercato di fornire aiuto si sono dovuti esporre a gravi, e del tutto evitabili, rischi per la loro salute. L’uso della pena di morte in circostanze del genere è un attacco particolarmente grave ai diritti umani>>
Casi eclatanti di condanne recenti
Lisa Montgomery, 2021
Risale al gennaio scorso il via libera della Corte Suprema statunitense per la condanna di Lisa Montgomery, 52enne che nel dicembre 2004 uccise la 23enne gravida Bobbie Jo Stinnett; l’assassinio cruento aveva come obiettivo l’asportazione del bambino dal grembo della donna, con l’intento di appropriarsene e diventarne la madre. Gli psichiatri avevano chiesto il permesso di effettuare degli accertamenti ma il tribunale ha deciso di portare a termine la condanna tramite un’esecuzione letale.
Navid Afkari, 2020
Il wrestler 27enne iraniano Navid Afkari era colpevole di aver ucciso un funzionare pubblico durante delle manifestazioni in Iran nel 2018. Numerosissimi gli appelli, giunti da ogni parte del mondo, per salvare la vita del lottatore di wrestling – anche da parte di Donald Trump. Secondo i fratelli di Afkari, infatti, il giovane sarebbe stato costretto a confessare un delitto non commesso e torturato in galera sino al giorno della condanna, avvenuta tramite impiccagione.
Ahmadreza Djalali, 2019
Il ricercatore iraniano Djiali è stato condannato a morte nel 2016; l’accusa: spionaggio. Il 47enne, medico specializzato in medicina delle catastrofi, lavorava al Center for Research and Education in Emergency and Disaster Medicine, dell’Università del Piemonte Orientale. Secondo la moglie del condannato, il marito avrebbe rifiutato una proposta di collaborazione avvenuta da parte delle autorità iraniane, le quali avevano chiesto al ricercatore di fare spionaggio nei paesi europei. La risposta del medico fu negativa e questo bastò a destare il sospetto che fosse una spia europea – vista la doppia cittadinanza iraniana-svedese.
Il ricercatore, sulla cui testa grava ancora la condanna a morte, non ha più avuto contatti con la famiglia dall’incarcerazione. Il medico del carcere ha fatto sapere che dovrebbe essere ricoverato presso un reparto di oncologia ed ematologia, ma gli appelli della moglie e dei figli atti a garantirgli le cure necessarie alla sopravvivenza non sono serviti a nulla.
Se volete saperne di più, vi consigliamo di approfondire leggendo questo rapporto di Amnesty International riguardo la moratoria sulle esecuzioni; ulteriormente vi suggeriamo la lettura di questo articolo della Redazione sulle tipologia di condanne.