Ho sempre avuto la sensazione che il mito di Ulisse – ovvero non solo l’Odissea omerica ma anche il complesso corpus di leggende e storie che la corredano e integrano – sia, fra le tante altre cose, anche un Catalogo. Un catalogo delle Donne, potrei dire…
In realtà un Catalogo delle Donne viene attribuito ad Esiodo. Dico attribuito perché sembra che sia opera di un qualche epigono, che ha voluto integrare la Teogonia. Raccontando le donne del mito. Ne abbiamo ben pochi stralci. Troppo pochi per cavare fuori qualche cosa di preciso. Tuttavia se ne può dedurre che doveva essere un elenco di miti e di figure mitologiche al femminile. Niente di più. .
Nell’Odissea, invece, io ci trovo molto altro. Figure femminili, Donne che non sono solo miti, leggende, narrazioni… Rappresentano archetipi. Archetipi di quel complesso, e misterioso, universo che è il Femminino Eterno, per rubare le parole a Goethe. Che, per altro, su Omero, e sulla Odissea in particolare, aveva meditato molto…basti pensare al frammento di Elena nella seconda parte del Faust.
Ulisse ama molte donne. E ne è a sua volta amato. Ma sono, tutte, donne molto diverse fra loro. Nessuna corrispondenza a un qualche standard estetico. Ulisse non è Trump… E, però, anche nessuna somiglianza sotto il profilo intellettuale, emotivo. Spirituale se vogliamo.
Circe, Calypso, e anche Nausicaa se vogliamo. Ancorché un amore, quest’ultimo, appena sfiorato. Un incontro. Un segno. Un saluto accorato “Te vivi, o Straniero. E ricorda… “. La fanciulla dei Feaci sta lì a rappresentare un anelito di purezza. Un porto solo sognato, in cui il vecchio naufrago per un attimo, ma solo per un attimo, respira ciò che potrebbe essere. Ma che mai sarà… perché altro, ben più cruento, è il suo destino.
Di Circe ho già scritto. Il potere della seduzione, capace di vellicare gli aspetti più torbidi e ferini della natura maschile. Il gusto di un trionfo sull’uomo. Dell’esercizio di un dominio. Amante stupenda, certo. E altrettanto certamente pericolosa. Nel senso etimologico del termine. Pericolo sta ad indicare qualcosa che è sul confine. Un limes. Non a caso, dopo essere stata sconfitta e conquistata, è proprio Circe a permettere a Ulisse di giungere alla soglia degli Inferi.
Calypso è immortale, e promette ad Ulisse l’immortalità. Che lui rifiuta. Perché deve assolvere al suo destino. Che è quello sì di un eroe, ma di un eroe mortale. La Ninfa non è, solo, bellissima. È soprattutto l’incarnazione della vita che urge. Un turbine senza posa. Una forza che trascina e rapisce. Tanto che Ulisse dimentica per ben cinque anni quale debba essere il suo fato. E il suo dovere di re e di Padre. Cinque anni che si bruciano come un solo giorno. Calypso rappresenta l’intensità. Ed un eros luminoso e privo di ombre.
Infine Penelope. La più difficile da definire. In apparenza la brava moglie che attende. Casta e fedele. Ma…
Ma altri miti spiegano, forse, alcune ombre, alcune zone di ambiguità della regina di Itaca. Che, certo, opera per conservare intatto il regno. Ma forse più per il figlio, Telemaco, che per lo sposo lontano. E che tesse e disfa una tela che sembra quella di un ragno. Una tela di seduzione con la quale ha, a ben vedere, incantato e paralizzato i Proci. Tenendoli sospesi con una promessa… Per poi consegnarli al massacro.
Donne, dicevo. Del mito, indiscutibilmente. Eppure che incarnano tante e tali sfumature del femminile da poter, quasi, rappresentare una sorta di guida. O di manuale d’amore. Uno strumento, antichissimo, per cercare di comprendere la Donna. Ovvero, il mistero.