Fuori sta piovendo. È una pioggia sottile, continua, tutto sommato non fredda. Abbiamo passa la metà di Febbraio, e qui, a Roma, si intravede già qualche accenno di Primavera. Più che altro presagi, i prati e le aiuole più verdi, le margherite… probabilmente ingannevoli, ché non sono certo insolite improvvise gelate a Marzo.
È ancora profonda notte. Mi sono svegliato, forse per un sogno. Forse perché i gatti facevano rumore. Forse per entrambe le ragioni o per nessuna. Comunque sono qui. In terrazza, a bere il primo caffè. Il primo di molti, prevedo.
Non si vede un’anima per strada. Normale. Anzi questa è la normalità ben oltre le tre del mattino, ormai. E poi, anche di giorno, anche nei luoghi più affollati, supermercati, metropolitana, di anime, essendo veggenti, credo che se ne vedrebbero ben poche…
Mi viene da sorridere dei miei stessi pensieri. Io non sono certo veggente. Anzi. Ho preso tanti di quegli abbagli nella vita….però di anime ne vedo ben poche in giro ormai. Di anime vive, intendo. Di quelle morte, invece…
Anime morte. Il romanzo di Gogol’, letto tanto, troppo tempo fa. Dovrei rileggerlo. Ne ricordo l’ironia corrosiva. E la cupa visione della natura umana. Romantico, certo. Ma senza traccia di sentimentalismo. E poi i suoi modelli erano Petronio, la ferocia sensuale del Satyricon. E soprattutto Dante. Che aveva letto in italiano, mentre viveva proprio qui, a Roma. In via di Sant’Isidoro. Al numero 17.
Una Roma molto diversa da questa. La Roma dei Papi. Piccola città di rovine maestose e grandi chiese barocche. Città di preti e prostitute, come aveva scritto il giovane Leopardi, in una lettera del 1820, pochi anni prima. Chiedendosi, con ironia, chi mai potessero essere i clienti di tante meretrici..
Questione di una manciata di anni, ma i due non si incontrarono. Invece Gogol’ conobbe il Belli. Chissà mai che si saranno detti…
Dante…ma il Dante di Gogol’ è quello di Malebolge. Anime dannate. Anime senza speranza di luce. Anime morte, appunto.
Che, poi, è un riferimento appropriato. Perché le anime morte sono riferite ai servi della gleba. Privi di diritti. Di identità. Di volto. Anche dopo la morte. Solo merce, nelle mani di avidi speculatori… Una storia che, periodicamente, si ripete…
Gogol’ era ucraino. Suo padre addirittura un commediografo in lingua Ucraina. Ma lui scelse la lingua russa. Come tanti altri. Come Solghenicijn. E altri grandi della letteratura e della storia russa. Solita frase di Cioran che mi ritorna sempre in mente. Non si abita un paese, si abita una lingua. E ora qualcuno vuole la guerra, rischia di fare deflagrare questo mondo per una, assurda, antitesi tribale. Qualcuno che, probabilmente, non parla né russo, né ucraino… E che, forse, non ha mai visto quelle terre…
Deflagrare il mondo… Forse aveva ragione Svevo, alla fine della Coscienza di Zeno. Un uomo più malato di altri. Una bomba più grande delle altre… E tutto sarà finito. Non resterà traccia. Se non fossili, come per i dinosauri. Chissà chi le scaverà e studierà nel futuro… l’evoluzione di quale specie. Dando per buona la teoria evoluzionistica. Personalmente scommetterei sugli…scarafaggi. Colpa di Kafka, naturalmente.
E la pioggia continua a cadere. Dovrebbe essere prossima l’alba, ormai. Ma non avrà certo guance di rosa. O capelli oro fiammanti. Quella è nella mia fantasia. Nella memoria del mito. E di un’altra vita, forse mai vissuta.
Pensieri inutili. Tanto per far scorrere le ore. E tenermi compagnia. Da solo.
Già, oggi, poi, è San Faustino….