Alessandro Barbero, uno degli storici più sopravvalutati, ha spiegato la sua curiosa concezione della divulgazione storica e, dunque, del ruolo stesso dello storico. Che, a suo dire, non deve raccontare ciò che è successo in passato, magari spiegando e contestualizzando. Macché, una idea vecchia, superata. Di quando non era ancora stato teorizzato il pensiero unico obbligatorio.

Per lo storico di riferimento di Piero Angela, invece, occorre censurare la realtà scomoda, non bisogna scrivere e pubblicare libri che non siano preventivamente approvati dalle apposite commissioni di pulizia ideologica. In particolare, secondo Barbero, la psicopolizia dovrebbe intervenire per mettere al bando i volumi di Giampaolo Pansa. Reo di aver scritto falsità sulla guerra partigiana? Tutt’altro. Reo, sempre secondo il grande storico angeliano, di aver divulgato episodi veri ma assolutamente conosciuti dai soviet del pensiero unico obbligatorio e, dunque, consapevolmente nascosti.
Vicende che – assicura Barbero – erano già state narrate dai “fascisti” (a partire da Giorgio Pisanò, ma ovviamente lo storico televisivo non fa il nome per evitare ogni pubblicità ai libri del senatore missino) e, dunque, nessuno aveva impedito la pubblicazione. In compenso quei libri erano stati ignorati dalla critica ufficiale, non avevano avuto la benché minima risonanza al di fuori degli ambienti dei reduci della Rsi. E questo, per chi si considera uno storico, è un bene.

Mentre se l’ex compagno Pansa racconta le medesime storie, deve essere censurato poiché raggiunge un pubblico più vasto. Ma è ancora più paradossale una delle altre giustificazioni di Barbero per stroncare Pansa. Gli Alleati hanno compiuto una infinità di crimini di guerra contro prigionieri e contro le popolazioni italiane mentre risalivano la Penisola. Massacri dimenticati, stupri di massa, omicidi a sangue freddo senza giustificazione alcuna. Però si è cercato di nasconderli, di obbligare a dimenticarli. Dunque (dunque?) bisogna nascondere anche i crimini dei partigiani perché erano dalla parte giusta.
È la storia, bellezza. O magari non è la Storia, però la psicopolizia la racconta così.
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