Molti analisti in questi giorni sono d’accordo nell’affermare che, a prescindere dalle cause che hanno portato all’invasione dell’Ucraina, la Russia sarà destinata a stringere sempre di più i propri rapporti con la Cina. Ma siamo sicuri che questa situazione porterà dei vantaggi a Putin? Andando a vedere alcuni numeri, dal punto di vista economico sembra proprio che quest’alleanza non sarà del tutto positiva per i russi. E’ vero che già oggi il Dragone rappresenta il primo partner economico di Mosca, avendo superato da circa dieci anni anche la Germania. Però l’attuale scambio commerciale UE-Russia è pari a 232 miliardi di euro, più del doppio rispetto al gigante asiatico. E’ un po’ semplicistico perciò affermare che Putin sorrida di fronte alle sanzioni europee, potendo rifarsi con nuovi accordi con Xi Jinping.
Ricordiamo inoltre che se la Cina rappresenta il 15,5% dell’economia russa, il Cremlino invece vale solamente lo 0,8% dell’intero commercio cinese. Anche nel settore delle armi, il peso del Dragone è ben maggiore di quello russo, dove fino a pochi anni fa il 70% delle armi e delle tecnologie militari venivano appunto acquistate dalla Cina. Quest’ultima nel periodo recente ha realizzato un vero e proprio boom nel settore, divenendo il secondo produttore mondiale di armi, spesso anche più avanzate tecnologicamente rispetto a quelle russe. Inoltre i cinesi sono presenti praticamente in tutti i settori strategici russi, a partire dalle infrastrutture fino ad arrivare al comparto energetico, dove detengono il 10% della petrolchimica Sibur e il 30% della Yamal LNG, produttrice di gas liquefatto, entrambe floride aziende pubbliche.
Per non parlare poi del diverso approccio a livello di politica internazionale. Mentre il Cremlino, soprattutto ora, dimostra la propria indole guerrafondaia, al contrario la Cina da decenni ha assunto una posizione molto più soft, tutta incentrata su modalità di colonialismo economico ma senza alcun uso delle armi. Per non scordare il principio base dell’inviolabilità dei confini e della non ingerenza negli affari interni altrui, motivo per cui il Dragone non ha mai riconosciuto l’indipendenza dell’Abkhazia e dell’Ossezia meridionale e la recente annessione de facto della Crimea da parte della Russia. A Pechino sanno bene che una loro posizione differente rischierebbe di comprometterebbe le loro storiche mire su Taiwan.
In altre parole, a causa di questa guerra il Cremlino rischia di finire tra le braccia avvolgenti della Cina, in una chiara posizione di subordinazione. Non sarebbe il massimo per chi ha scatenato il conflitto per la preoccupazione che la Nato potesse espandere la propria influenza troppo vicino ai confini russi. Per non cadere nelle grinfie dell’imperialismo a stelle e strisce, ora rischiano di finire nella morsa di Xi Jinping.
Ma questo è oggi l’unico scenario possibile? In realtà no, rimane ancora viva un’altra opzione: quella di un accordo con l’Europa, come fortemente voluto ancora oggi da Macron e da Berlino, dove pochi mesi fa il nuovo governo Scholz aveva messo tra le priorità della propria agenda politica il rilancio di un’intesa con Mosca. Anche adesso Putin potrebbe avere questa via d’uscita ma si trova in una situazione molto complicata. Il conflitto non sembra più tanto essere quella sorta di blitz krieg che molti ipotizzavano all’inizio. Certamente la forza dei russi è nettamente superiore a quella dell’esercito e delle milizie ucraine. Ma la reazione, soprattutto da parte della popolazione civile, è stata molto più forte del previsto.
Oggi per vincere questa guerra i russi saranno obbligati, per forza di cose, a dover affrontare un bagno di sangue inaspettato. D’altra parte, anche tornare indietro è certamente improponibile e poco realistico. Ma proprio per tutte queste ragioni, Putin avrebbe tutto l’interesse a trovare un’intesa di pace, soprattutto con l’aiuto dell’Europa. Bisogna vedere se prevarrà il revanscismo post-sovietico oppure una visione a lungo termine.
Nel primo caso, probabilmente l’Ucraina verrà rasa al suolo e diventerà una provincia russa come ai tempi dell’Urss. Questo comporterebbe, come spiegato prima, un abbraccio mortale con la Cina. Il Cremlino si troverebbe più forte territorialmente ma molto meno dal punto di vista economico-politico, diventando una sorta di vassallo cinese. Nel secondo caso, invece, dovrebbe certamente rinunciare a qualche territorio durante le trattative di pace ma poi potrebbe intraprendere una seria politica di cooperazione con l’Europa. Questo permetterebbe alla Russia di rimanere protagonista nel contesto della politica internazionale e di porsi, di fatto, in una posizione reale di potenza, l’unica che le garantirebbe di essere realmente al sicuro dalle mire egemoniche della Nato nell’Est Europa. Ma per fare questo, prima di tutto le armi devono tacere. Putin avrà il coraggio di farlo? Nelle prossime ore avremo la risposta.