Mario Draghi, eletto da nessuno, definisce “dittatore” Erdogan, il leader turco che guida il Paese grazie al voto ottenuto in elezioni assolutamente regolari. Messa così sembrerebbe soltanto una dichiarazione stupida, anche molto ipocrita. Un banchiere che comanda una nazione non è proprio il simbolo della democrazia, di una espressione popolare. Però Sua Divinità è troppo scafato per lasciarsi sfuggire una sciocchezza di questo genere in un contesto ufficiale.

Dunque si possono formulare delle ipotesi sulle ragioni di questa presa di posizione in politica estera, settore di cui dovrebbe occuparsi Giggino, appena scoprirà la localizzazione della Turchia. Tutto inizia con la sceneggiata della poltrona negata ad Ursula von der Leyen. Già, ma negata da chi? La canea mediatica italiana, ma non solo italiana, ha incolpato Erdogan. Ignorando la spiegazione scomoda dell’ex ambasciatore italiano ad Ankara, Carlo Marsili.
Marsili – ora senior fellow del think tank Il Nodo di Gordio – spiega infatti agli analfabeti istituzionali che incontri di questo livello sono preceduti dai controlli dei responsabili del protocollo (ma anche a livelli nettamente più bassi il protocollo si occupa di tutto: dalla disposizione delle bandiere all’ordine degli interventi, sino ai posti al tavolo ed eventualmente a tavola). Sia da parte del padrone di casa sia dal rappresentante degli ospiti. In questo caso era stato Michel ad inviare il responsabile per la parte europea.
Dunque o l’inviato di Michel è un completo incapace – e deve essere cacciato invece di gravare sui contribuenti europei – oppure l’ha fatto apposta. Per creare tensioni tra Consiglio europeo e Commissione europea? O per acuire i contrasti con Ankara?

Erdogan dell’ammissione all’Unione europea se ne frega altamente. Vuole usarla come argomento di trattativa, senza alcun desiderio reale di adeguarsi alle regole. E vuole più soldi, tanti soldi, per non far invadere l’Europa dai profughi siriani e da quelli di ogni parte di Africa ed Asia.
Sin qui nulla di nuovo. Ciò che è cambiato, radicalmente, è lo scenario internazionale. La NATO in versione Biden cerca di sopravvivere attraverso nuove provocazioni nei confronti della Russia, ma in realtà si sta sfilacciando ed è sempre meno compatta. Turchia e Grecia, entrambe nella NATO, litigano e si minacciano (Atene attraverso il sostegno di Parigi). La Libia si è pacificata attraverso la spartizione tra Russia e Turchia e l’Italia si è ritrovata dalla parte della Turchia. Erdogan, però, non piace agli americani che non si fidano di lui. Ed allora il lavoro sporco tocca al “governo atlantista” di Roma. Che definisce Erdogan “dittatore” ma poi cerca comunque di trattare. Da una posizione di debolezza. E ovviamente il gioco passa a Draghi. Un gioco troppo sottile per essere affidato a Giggino.