“Ai giovani la politica importa poco o nulla, anzi non fa proprio parte delle priorità esistenziali”. “Tuttavia, si recheranno a votare perché lo considerano un diritto-dovere a cui bisogna partecipare”. “Non conoscono i leader politici e non sono ferratissimi neanche sugli schieramenti”. In lista vorrebbero che ci fosse Totti, il datore di lavoro onesto e la mamma “perché sa sempre essere a disposizione”.
Questo il breve riassunto di un articolo di Marco Castoro su il “Corriere di Arezzo” riguardante l’inchiesta di Vicsia Portel, inviata “diMartedì” sui neo elettori.
Mi sembra un quadro generazionale sufficientemente chiaro per porsi una serie di domande cruciali: Perché i giovani devono votare? Come si può scegliere senza conoscere? A chi giova questa apatica ignoranza?
Un tempo non credo che l’approfondimento politico fosse diffusamente applicato, ma c’era la fede a sostenere la decisione finale. Destra, sinistra e centro a rappresentare tre diverse visioni del mondo e, con esse, anche tre diversi stili di vita. Poi, soprattutto nelle orge elettorali comunali e provinciali, il legame amicale o la conoscenza familiare.
Se non c’è ideale, se non c’è conoscenza personale, se non c’è cultura politica, come si può scegliere e votare. E perché?
Perché è un diritto. Complimenti. Diritto: termine infame. Uno ha il diritto di guidare se ha la patente, mica è un’acquisizione per automatismo scontato. Qui, tutti con la pretesa di esercitare dei diritti, e un fuggi fuggi generale al minimo sentore di doveri. Uno che non ha coscienza politica, né una conoscenza minima dei candidati e delle loro proposte, deve starsene lontano dalle decisioni che coinvolgono l’intera comunità. Prima il dovere di informarsi: il cosiddetto minimo sindacale.
Comiche, poi, le tre ipotesi di candidatura: un pensierino particolare alla mamma, che però riflette la concezione attuale della politica. Non la dedizione ad una idea alla quale dedicarsi e magari sacrificarsi, ma la politica come accudimento, che tradotto sarebbe una modalità di professione spesso con variopinti privilegi.
Tutta questa farsa cartacea, ipocritamente definita come tornata elettorale, non solo è utile, ma auspicata dalla democrazia. Del resto, basta avere sott’occhio i curricula degli attuali rappresentati istituzionali e dei partiti per capire l’intuizione di Massimo Fini quando afferma, appunto, che la migliore qualità in democrazia è quello di non avere competenze. Un incompetente, un inetto, un dilettante, un fallito, sono facilmente ricattabili e malleabili. La democrazia detesta l’eccellenza e predilige mediocrità: il massimo della sua compiutezza.
Per non parlare dell’influenza nefasta sullo spirito. “Allo stupido le più alte attività spirituali sembrano sempre parassitarie” – sottolinea Gómez Dávila – “Il grado di civiltà si misura sul numero di parassiti che tollera”. E la democrazia, in questo, è molto tollerante.