Godo, si fa per dire, del diritto elettorale attivo da una quarantina d’anni e nel corso di questo periodo l’ho esercitato in modo diverso. Negli anni giovanili scegliendo in modo ideologico e pregiudiziale, come quasi sempre accade; poi spostandomi sul partito che in quella fase politica mi faceva più simpatia, ben prima che la mobilità elettorale diventasse così diffusa (a mio avviso questo è un dato estremamente positivo); infine, quando all’appartenenza e persino al divertimento sono subentrati soltanto la noia, la totale indifferenza verso la politica, il convincimento dell’assoluta inutilità dell’esercizio del voto, mi sono recato alle urne con sempre minore frequenza, solo ed esclusivamente per scegliere e aiutare alcune persone per le quali provo stima e affetto per conoscenza personale.
Il 25 settembre andrò a votare, per la prima volta dopo molto tempo, con maggiore convinzione. E voterò per appoggiare un governo di centrodestra, in particolare scegliendo la lista di Fratelli d’Italia. Ma non lo farò per la motivazione che dovrebbe muovere queste scelte, cioè che la coalizione con Salvini e Berlusconi e il partito guidato da Giorgia Meloni garantiscano al nostro paese un futuro migliore. Anzi, per molti versi ritengo questi leader fortemente inadeguati al compito che presumibilmente spetterà loro, ma ritengo più urgente e rilevante un’altra questione che mi porta, come purtroppo spessissimo succede, a votare non tanto “per” quanto “contro”. E cioè la considerazione che l’Italia, paese atavicamente affetto da una grave forma di conformismo, si troverà dopo la prossima giornata elettorale a un bivio tra il reale (e residuale) esercizio della democrazia e soprattutto delle libertà individuali e civili come le abbiamo intese negli ultimi 77 anni, e la definitiva sottomissione a quella che Marcello Veneziani, con un’espressione un po’ retorica ma straordinariamente efficace, chiama “la cappa”.
Non c’è da rimpiangere alcun periodo storico e politico precedente, per carità: lungi da noi qualunque cenno di nostalgia. Ma le appartenenze ideologiche creavano dei conformismi contrapposti: pertanto, per esempio, al blocco (anche mentale) dei comunisti si contrapponeva quello cattolico, in gran parte confluente nell’alveo democristiano, e c’era una destra marginale, neofascista molto più di quanto non lo sia ancora oggi. Nessuna di queste posizioni era condivisibile ma il professarle conferiva a militanti, seguaci e simpatizzanti una sorta di impermeabilizzazione contro la propaganda avversa o di qualunque altra impronta. Questo è stato vero fino a che non è subentrato il processo lucidamente individuato da alcuni intellettuali tra i quali va riconosciuto a Pierpaolo Pasolini di essere stato forse il migliore, il più nitido; finché il consumismo materialista connaturato collegato allo sviluppo economico del dopoguerra non ha inoculato quei germi, assolutamente trasversali alle appartenenze, trasformando gli uomini e le donne “politici” in “consumatori”.
Questa omologazione nello stile di vita determina la sottomissione a qualunque messaggio globale venga diffuso con la forza di convincimento che propaganda, marketing e pubblicità possono esercitare. Il fenomeno naturalmente si è rafforzato con il moltiplicarsi dei media, consentendo di raggiungere il target non soltanto mediante i grandi strumenti di comunicazione ma anche con quelli sociali, che consentono una penetrazione molto più forte. Questa condizione, ormai protratta da decenni, ha conosciuto con la pandemia un’accelerazione ulteriore, esponenziale, formidabile, unica, poiché la motivazione della sicurezza sanitaria (reale: non condivido affatto il complottismo di chi sostiene sia stata creata artatamente) è divenuta il braccio armato della propaganda globale, della quale la sinistra italiana è un’esecutrice pedissequa.
Pertanto assegnare alla coalizione progressista, nome che è un millantato credito, il governo dell’Italia dei prossimi anni, dopo il passaggio già significativo del governo Draghi, significa stabilire in maniera probabilmente definitiva e irredimibile l’acquiescenza della popolazione italiana verso qualsivoglia diktat dei “grandi poteri” che a livello istituzionale si identificano soprattutto con gli Stati Uniti e l’Unione Europea. Si pensi solo al delirio entusiastico che circonda il PNRR, i cui fan vedono solo il beneficio immediato, oscurando i dubbi sul ruolo di volano che dovrebbe svolgere e sul ritorno delle somme prestate. La sottrazione della sovranità che è un punto fondamentale del centro destra e soprattutto di Fratelli d’ Italia, insomma, non è un’invenzione ma una questione reale ed effettiva. Non è affatto detto che governandoci da soli, in maggiore autonomia, le cose andrebbero meglio. Non si tratta di questo. Si tratta un principio che affonda le proprie radici nel diritto occidentale così come lo conosciamo: ciascuna comunità a livello locale e nazionale deve essere padrona del proprio destino, libera e capace di darsi il futuro migliore possibile, senza essere commissariata dai presunti migliori che alloggerebbero a Bruxelles o a Washington.