La faccia. Perdere o salvare la faccia. Modo di dire frequente. Diffuso. Non solo nella nostra lingua, per altro. Anzi, il tema della faccia come metafora della personalità e dell’onore lo troviamo centrale nell’etica dei samurai, il Bushido. E pensiamo, restando a casa nostra, al tradizionale guanto della sfida al duello cavalleresco. Sulla faccia. E allo schiaffo come oltraggio o risposta, secca, ad un’offesa. Perché il pugno è violenza. E volgarità. Lo schiaffo resta un gesto simbolico. Ed elegante….
La faccia, il volto è ciò che, più di ogni altra parte del nostro corpo, ci contraddistingue. Ci individua. Ci differenzia dagli altri. La Bellezza di un volto è fondamentale. Va al di là di quella del corpo e delle sue proporzioni. Che, certo, è importante. Ma, senza un bel viso, perde ogni senso. Non ha armonia.
E senza il volto, le sue espressioni, gli occhi e la loro luce, il corpo diventa solo qualcosa di…anonimo. La voce atona. Perché il volto è, in realtà, la parte più intima, segreta, misteriosa di un essere umano.
Per questo, anche per questo, in alcune culture – troppo spesso identificate tout court con la religione islamica – si vela il volto della Donna. Per serbare il suo segreto, e riservarlo all’uomo cui appartiene.
Per questo, anche, uno dei peggiori incubi è un mondo di uomini privi di faccia. Tutti uguali. Inespressivi. Di fatto…vuoti. Solo contenitori di istinti e bisogni biologici. Incapaci di esprimere la gioia, così come il dolore.
È l’incubo della fantascienza distopica. La Metropolis di Fritz Lang. Il formicaio umano. Ché le formiche non hanno altro che caratteri somatici comuni. Identici. Tutte uguali. Intercambiabili. Sostituibili.
Io faccio l’insegnante. Da molti, probabilmente troppi anni. E ho visto scorrere tantissime classi davanti a me. Non ricordo i nomi di tutti quelli che sedevano sui banchi più meno attenti, più o meno annoiati e distratti, mentre parlavo del Saluto di Beatrice, del volo di Astolfo sull’Ippogrifo, dell’ombra dei Cipressi… O mentre traducevo “simile agli Dei mi appare…” o l’abusato “Quousque tandem Catilina abutere…”
Però quei volti, quelle facce, quelle espressioni mi si sono incise nella memoria. Restano lì. Vive e vivide.
E poi, una delle poche cose che ho imparato in tanti anni di mestiere, è che bisogna guardare in faccia gli studenti mentre spieghi. Perché sono i loro volti che determinano la tua lezione. Ti dicono se e quanto capiscono. Se puoi continuare, o se devi fermarti. E cambiare. O magari anche fare una battuta. Per alleggerire.
Ma ora…Non è più così. Faccio un esempio. Ho una classe, una seconda liceo che non conosco. Che, di fatto, non ho mai visto. Sono una trentina. Molti, troppi anche in una situazione normale. Ma le classi le hanno fatte così. Per risparmiare. E poi parlano di distanza di sicurezza e altre balle.
Però la mascherina sulla faccia, quella sì. Su quella non si transige. Ineliminabile e indiscutibile. Altrimenti i dirigenti (kapó) danno in escandescenze. E la storia continua. Perché, oggi, i miei studenti possono ammassarsi nei pub, nelle discoteche, senza mascherina. Ma a scuola devono portarla. Il virus ha una, evidente, predilezione per la cultura…
E proprio questo mi dà da pensare. Perché, vedete, io ho sempre conosciuto i miei nuovi allievi in una, due settimane. Imparato ad associare nomi e volti, individuato propensioni e caratteri.
Ma con questi, no. Mi restano ignoti. Non hanno volto. Se qualcuno mi saluta per strada stento a riconoscerlo… Sono degli estranei. E non potrebbe essere altrimenti. Un anno praticamente tutto in DAD. Icone del computer. Le vecchie figurine Panini erano più espressive. E quest’anno sempre con le mascherine. Quasi non si conoscono neppure fra loro…
È una scuola che va nella direzione della eliminazione dei volti. E quindi della persona dell’allievo. In prospettiva di una nuova società che farà impallidire gli incubi di Lang.
Io, ad insegnare, vi continuo a provare. Ma vedo che così, diventa sempre più…inutile. Non difficile, solo inutile.
Però molti colleghi, soprattutto quelli più giovani, sembrano contenti. È più facile. Te ne stai lì, in cattedra. Con una o due mascherine sulla faccia. Spieghi, quello che sai. Senza sbatterti tanto a controllare, dal volto, se sono interessati. Se capiscono.
Non è affar tuo. Non sono persone. Non hanno volto. Di fatto…Non esistono.
Contenti loro…forse hanno ragione. Mi dicono che così è tutto più…oggettivo. Senza coinvolgimento emotivo. Più…scientifico.
Ma io sono un artigiano, non uno scienziato. Abituato a lavorare un ciocco di legno alla volta. E tirarne fuori non un pupazzo, ma un uomo. Con un volto.
Avranno anche ragione. Questa è la loro…scuola. Non più la mia. Per fortuna…mi manca poco.