Dal punto di vista fisico e biologico, il processo in corso nel Movimento 5 Stelle è interessante. Da un lato si tratta di una implosione, visto che il processo è tutto interno al movimento e non prevede l’azione di forze esogene, dall’altro ha prodotto una mitosi, cioè una divisione della cellula in due.
Dal punto di vista politico e umano, invece, il processo è molto più chiaro e rimanda in primo luogo alla conclamata crisi dei partiti, che un tempo rendevano le persone meramente funzionali agli obiettivi politici, anche nel caso dei leader. Si pensi alla ridicola turnazione dei ritratti ufficiali nell’Unione Sovietica che Giovannino Guareschi sbeffeggia in modo esilarante, come ricorderanno gli spettatori del film “Il compagno don Camillo” oltre che i lettori del “Mondo piccolo”.

Questo processo umano e politico può quindi essere chiamato personalizzazione, cioè sostituzione di grandi entità collettive, mosse e finalizzate rispetto a grandi ideali, con aggregazioni che trovano il loro fulcro nella capacità di leadership di un singolo. Come abbiamo notato anche di recente, però, il problema è nella scarsa capacità adattativa del leader che, in genere, quanta più abilità dimostra nell’aggregare il consenso iniziale, tanta meno ne conserva nel capitalizzarlo. Gli esempi di tale limite sono ormai numerosi, da Mario Monti a Matteo Salvini, da Matteo Renzi a Gianfranco Fini, fino a Silvio Berlusconi, anche se per quest’ultimo si tratta di un difetto veniale, vista la longevità politica del personaggio.
Anche il Cavaliere, con le sue boccaccesche vicende giudiziarie, conferma però l’assioma generale: la prevalenza che, nella condotta del leader, assume l’interesse personale (oltre che aziendale, nel caso specifico) su quello latamente politico. La crisi identitaria dei leader, infatti, non rimanda quasi mai a grandi scontri politici ma a problemi molto più minuti, talvolta quasi intimi: una volta è la passione per il sesso, un’altra volta le lusinghe della bella vita. Nel caso di Giuseppe Conte e di Beppe Grillo siamo per esempio davanti a una banalissima idiosincrasia di carattere gallinaceo, la volontà di far sentire il proprio “chicchirichì” in modo più stentoreo all’interno del pollaio.

C’è una scena circolata in video che rende molto chiara la diatriba tra i due nei suoi miserrimi termini psicologici e caratteriali. Quella in cui Conte, in una sala affollata, si avvicina alla fila dove siede Grillo per parlargli e il “papà” dei 5 Stelle, per usare la sua definizione, lo ascolta e gli risponde sporgendosi appena dalla sua poltrona e costringendo l’ex premier a chinarsi per poter interloquire senza che troppe altre persone ascoltino. Quella di Grillo non è una distrazione o un semplice atto di scortesia ma l’espressione, non sappiamo quanto intenzionale, di un impeto profondo che è, per l’appunto, quello di far inchinare l’altro rispetto alla propria, troneggiante posizione.
Diciamo queste cose sperando che tra i lettori non ci siano troppi ingenui, davvero illusi che le persone impegnate in politica lo facciano per grandi obiettivi anziché per assecondare il proprio ego. Così come speriamo non ce ne siano troppi convinti che il prossimo grande leader in pectore sia davvero capace di sfuggire a questo destino. Ci riferiamo in particolare a Giorgia Meloni, simpaticissima e bravina animatrice politica che continua a cavalcare la propria onda montante sul Surf della opposizione ma che, nel momento in cui dovesse passare dall’altra parte della barricata, incontrerà gli stessi ostacoli dei suoi colleghi prima citati. Sembra invece aver fatto una scelta di grande acume Mario Draghi, se manterrà fede all’impegno di non protrarre oltre il proprio incarico governativo. Anche perché a breve gli si palesa la grande opportunità di passare alla sinecura quirinalizia.