Perù, dalla frammentazione politica emerge una nuova sinistra populista
Il Perù è tra i pochi stati latinoamericani a non aver avuto un governo di stampo socialista nel corso della decade dorada, anche per via del mancato rispetto delle promesse elettorali di Ollanta Humala che, seppur eletto sul filone del rinnovamento in salsa populista, finì col proseguire gli iter dei suoi predecessori.
La gravissima crisi politica che ha segnato gli ultimi anni della nazione andina con due presidenti dimessisi, uno esautorato da un Parlamento in cui non aveva la maggioranza e la designazione di un traghettore alle nuove elezioni generali, hanno convinto tutti i partiti politici ad intraprendere la scalata alla massima carica istituzionale nel corso delle nuove elezioni generali.
L’enorme afflusso di candidati, ben diciotto, ha ovviamente frastagliato il voto degli oltre venticinque milioni di aventi diritto. I primi risultati, con lo scrutinio che ha superato l’80%, certificano la prima posizione ma non garantiscono ancora la certezza della seconda.

Se appariva scontato anche dai sondaggi che nessuno degli sfidanti avrebbe neanche lontanamente avvicinato la soglia del 50% necessaria ad evitare il secondo turno previsto per il 6 giugno, le sorprese non sono mancate.
Ad essere in testa è, infatti, contro ogni pronostico l’insegnante e sindacalista Pedro Castillo sostenuto da Perù Libre. Con il 18,3% il nativo del nord-ovest del Paese si è assicurato un vantaggio non più ribaltabile rispetto ai primi inseguitori. Tra questi ultimi spicca Keiko Fujimori, figlia dell’ex presidente e dittatore Alberto, che col 13,2% distanzierebbe gli altri candidati di destra Hernando de Soto, sostenuto da Avanza País, attualmente al 12,3% e Rafael López Aliaga di Renovación Popular accreditato del 12,1%.
La sfida tutta a destra per il ballottaggio esclude il grande favorito della vigilia, il centrista Yonhy Lescano di Acción Popular con il 9% e la candidata di sinistra Verónika Mendoza di Juntos por el Perú con l’8% oltre all’ex portiere di calcio George Forsyth e César Acuña di Alianza para el Progreso entrambi vicini al 6%.
Quasi non pervenuto l’ex presidente Humala (appena l’1,5%) che ha scontato agli occhi dell’opinione pubblica anche l’arresto, insieme alla moglie, per il ruolo certificato dall’inchiesta Odebrecht.
Per ricevere il testimone da Francisco Sagasti e insediarsi a Lima il prossimo 28 luglio, gli sfidanti dovranno obbligatoriamente far convergere su di sé i voti dell’area politica più prossima. In questo senso la Fujimori si è detta certa che tra lei e De Soto si troverà un accordo a prescindere da chi accederà al secondo turno, circostanza che potrebbe favorirla dopo due sconfitte consecutive, come avvenuto nello stesso fine settimana in Ecuador per Guillermo Lasso.

Ad aver convinto molti elettori a sostenere Castillo è stato, invece, un programma rivoluzionario che ha preso anche le distanze dal progressismo della sinistra della Mendoza, chiudendo all’insegnamento dell’ideologia gender nelle scuole, all’equiparazione tra matrimonio e riconoscimento delle coppie omosessuali e dicendosi pronto ad un confronto sull’aborto che vede, comunque, il protagonista degli scioperi degli insegnanti del 2017 contrario alla legalizzazione. Una sinistra, quella di Castillo, vecchio stampo volta, cioè, a ristabilire i diritti sociali in testa all’agenda programmatica, dalla nazionalizzazione del gas alle statalizzazioni di comunicazione, petrolio e industria estrattiva, dal sostenere col 10% del Pil l’Istruzione pubblica alla convocazione di un’elezione per una nuova Assemblea Costituente che scriva un Testo fondamentale teso a sostituire l’attuale Carta risalente al 1993 e alla dittatura di Alberto Fujimori.
In pieno stile populista Castillo ha anche chiarito che, qualora venisse eletto, continuerà a percepire solo lo stipendio da insegnante dicendosi favorevole a ridurre l’emolumento per i deputati e consentire ai cittadini e non più al Congresso l’elezione diretta dei membri della Corte Costituzionale.