La crisi politica iniziata in Perù nel marzo 2018 con le dimissioni del presidente Pedro Pablo Kuczynski, conosciuto come PPK, in seguito al suo coinvolgimento nell’inchiesta Odebrecht sembra non avere fine.
In questo anno e mezzo di governo del suo ex vice Martín Vizcarra le tensioni con il partito di destra che controlla la maggioranza del Parlamento Fuerza Popular (Forza Popolare), il cui simbolo è la “K” della leader Keiko Fujimori, sono aumentate in seguito alla condanna a trentasei mesi inflitta alla figlia dell’ex dittatore nippo-peruviano.
Rientrata anche la Fujimori nello scandalo legato all’importante ditta brasiliana per aver intascato una tangente di un milione di dollari, Vizcarra ha puntato buona parte del proprio mandato sulla lotta alla corruzione dilagante nello Stato sudamericano.
I continui ostacoli posti dalla formazione di stampo conservatrice che nel 2016 ottenne 73 dei 130 seggi della Camera hanno portato alla drastica decisione dello scioglimento della stessa da parte del presidente con relativa indizione di elezioni anticipate per il 26 gennaio 2020.
La goccia che ha fatto traboccare il vaso è stata senza dubbio la nomina di nuovi giudici del Tribunal Costitutional (Tribunale Costituzionale) da parte del Parlamento, quello stesso TC che dovrà pronunciarsi sulla Fujimori, detenuta già da undici mesi. In risposta alla presa di posizione di Vizcarra la maggioranza parlamentare, con 80 voti su 130, ha sospeso per un anno il presidente per “incapacità morale” facendo giurare la sua vice, la cinquantottenne economista Mercedes Aráoz.
Qualora lo scontro porti a nuove elezioni, Vizcarra potrebbe puntare sul grande consenso popolare di cui gode al momento per rafforzare la propria posizione creando una nuova piattaforma politica capace di erodere i consensi, dati in forte calo, della destra conservatrice.
Non è da escludere che nel nuovo scenario politico possa trovare un posto di rilievo anche la sinistra di Verónika Mendoza che, nonostante il mandato tutt’altro che rivoluzionario del progressista Ollanta Humala, nel 2016 riuscì a raccogliere poco meno di tre milioni di voti sfiorando il 19% dei consensi, attestandosi come seconda forza parlamentare davanti ai liberali di PPK e Vizcarra.
Di sicuro le vicende legate alla corruzione che hanno coinvolto tutti i presidenti eletti dal ritorno alla democrazia dopo la dittatura di Alberto Fujimori rischiano di allontanare ancor di più i cittadini peruviani dal voto e dalla partecipazione politica. Non bisogna dimenticare, infatti, che oltre al citato Kuczynski anche Alejandro Toledo, Ollanta Humala e Alan García sono finiti sotto inchiesta, con quest’ultimo che lo scorso aprile nel momento dell’arresto si è suicidato con un colpo di pistola alla testa.