Peter Fonda, morto il 16 agosto all’età di 79 anni, non era un attore: era un’icona.
Il simbolo di un’epoca che non esiste più e che già mostrava la corda all’epoca in cui uscì, esattamente cinquant’anni fa, il film che gli diede la notorietà, vale a dire Easy Rider.
Prova ne sia che lo stesso Fonda, che di quel lungometraggio fu oltre che interprete anche sceneggiatore, scomparve quasi del tutto dagli schermi cinematografici, a differenza del regista/attore Dennis Hopper e del grande Jack Nicholson che in seguito prese il volo regalandoci interpretazioni memorabili come quella in “Qualcuno volò sul nido del cucùlo”, di Milos Forman (che nel ’75 gli valse l’Oscar), o “Shining” di Stanley Kubrick.
Easy Rider, diciamocelo francamente, era un opera mediocre. I più se ne ricordano più per la canzone che accompagnava i titoli di testa, quella Born to be Wild degli Steppenwolf (destinata a diventare, da allora in poi, l’inno dei Bikers), o per l’immagine (iconica anche quella) dei due motociclisti in sella ai loro chopper. Ma la trama? Sono pochi coloro che saprebbero raccontarla, vuoi perché sono passati cinquant’anni, vuoi perché non c’era proprio niente da raccontare.
Eppure, a fronte di un costo di 400.000 dollari (interamente sborsati dallo stesso Peter, classico esempio di radicalchic), la pellicola fruttò ben 60 milioni al botteghino. Ma si trattava già di un’operazione nostalgia, legata a un’epoca hippy che era ormai finita, anche se non dimenticata. A ciò si aggiungeva un elemento tipico della cultura americana, quella del nomadismo interno, che autori come Faulkner e Kerouac avevano raccontato nei loro libri con ben altri risultati.
Ma quell’immagine, molto più del film, in cui si vedono i due motociclisti affiancati, si trasformò in poster che riempivano le pareti dei teenager degli anni Settanta. Ragazzi che in quell’immagine condensavano il loro sogno di libertà.
E Peter Fonda continuò ad essere l’interprete di quell’immagine per il successivo mezzo secolo. Un ruolo che non riuscì a scrollarsi di dosso, insieme al pesantissimo cognome che ingombrava il suo documento di identità, e che si trasformò in un fardello insopportabile.
Ci sono attori che, dopo un ruolo memorabile, scompaiono all’improvviso. Per Peter Fonda fu il contrario: tutti si ricordarono di lui, ma la sua carriera finì sostanzialmente dopo quell’interpretazione.
In questi giorni, come c’era da attendersi, i media di (mezzo)servizio ferragostano sono piombati sulla notizia e si sono lanciati in celebrazioni agiografiche degne di miglior causa. Ma che cosa si può pretendere da redazioni che, in questo periodo, si ritrovano ad essere semivuote per via delle vacanze estive?