Esiste un filo sottile che collega fra di loro i due ultimi romanzi di Gian Luca Campagna e Giorgio Ballario. O forse, visto che entrambi sono impegnati nella nobile arte di costruire trame poliziesche, sarebbe il caso di parlare di “complicità”.
Il protagonista degli ultimi lavori di Ballario è Hector Perazzo, un detective privato argentino che agisce da tempo a Torino. Ne “Il tango dei morti senza nome” (Edizioni del Capricorno, pp. 265, €12,00), che già è stato presentato in queste pagine, il protagonista viene ingaggiato da una facoltosa “madamin” della Torino bene allo scopo di indagare sulla misteriosa morte del padre avvenuta in Argentina quarant’anni prima.
Il protagonista dei più recenti thriller di Campagna è José Cavalcanti, anch’egli argentino, ma con chiare origini nostrane. Nell’ultimo romanzo “Il Teorema dei vagabondi pitagorici” (Mursia editore, pp. 210, € 17,00), il private eyes bonaverense viene assunto da un misterioso personaggio cuneese per scortare Nicola Dutto alla Dakar, la corsa motoristica più massacrante al mondo, che nel 2019 si svolgeva in Perù. Fin qui niente di strano, non fosse che il Dutto è paraplegico e, per di più, è stato minacciato di morte da sconosciuti “adoratori” di Quetzalcóatl, il sanguinario dio delle civiltà precolombiane.
Per il gioco di rimandi dei due autori, Cavalcanti fa una prima tappa a Torino, dove incontra, tra gli altri, un tal Giorgio, che gli farà da cicerone nel corso del suo breve soggiorno. Si tratta di un “cameo” breve: infatti il Giorgio torinese scomparirà quasi subito dalla storia che si svolgerà in gran parte, dall’altra parte dell’Oceano Atlantico, tra le Ande peruviane. L’impressione che Giorgio sia proprio Ballario, è confermata nei ringraziamenti finali, laddove, accanto al nome del giornalista e giallista piemontese si legge “perché l’amicizia non è per forza ubriacarsi insieme. Resta condivisione, anche senza risate grasse”.
Ma le corrispondenze tra i due autori finiscono qui. Grandi sono infatti le differenze di stile e di approccio alla materia trattata.
Come nei fortunati romanzi precedenti, Campagna dimostra di essere degno epigono del grande Andrea G. Pinketts, scomparso a soli cinquantotto anni nel dicembre del 2018. Dall’autore milanese Campagna ha ereditato non solo la passione per le storie complesse, ricche di personaggi e di situazioni, ma soprattutto il gusto per la digressione, per i funambolismi verbali e retorici, per il divertimento puro che la lingua scritta e parlata può offrire allo scrittore – e di conseguenza al lettore – intelligente, che non si accontenta di una storia ben costruita e ben scritta, ma che ama sorprendere, stimolare, e non solo incuriosire.
Anche in quest’ultima fatica di Campagna, si corre il rischio di smarrire il filo conduttore della vicenda principale, e ci si lascia coinvolgere in dotte digressioni, situazioni paradossali, ben condite da acrobazie oratorie.
Ad arricchire tutto ciò contribuiscono un buon numero di personaggi bizzarri e diversissimi gli uni dagli altri. Ne consegue un gustoso guazzabuglio narrativo che Campagna, con la consueta abilità, governa con mano ferma, impedendo al lettore di perdersi nel labirinto delle situazioni create.
Una lettura distensiva e divertente ma mai banale. E di questi tempi è già “tanta roba”.