Una crescita del Pil del 3%. Un ottimo risultato, se si trattasse dell’Italia. Ma si tratta della Cina e il risultato è estremamente insoddisfacente. Pessimo. Conseguenza della rigidità delle politiche anti Covid che hanno dato una pesante spallata all’economia del grande Paese asiatico. Andandosi a saldare all’esplosione della bolla immobiliare. Una crisi interna che ha obbligato il regime ad intervenire cancellando la politica della segregazione di intere città. Uscite e producete. Ed ora uscite e spostatevi per festeggiare il capodanno lunare.
E pazienza se i contagi dovessero dilagare e ci fossero molti morti. La priorità è la crescita economica, che è alla base di tutta la strategia di espansione globale. Non si possono condizionare le politiche dei Paesi africani senza continue immissioni di denaro fresco. E vale per l’Asia e per l’America Latina. Ma vale anche per le acquisizioni in Europa. Dunque le misure anti Covid devono essere eliminate e la popolazione deve tornare a lavorare.
Poi, però, occorre rilanciare i mercati. E la guerra non favorisce la ripresa globale. In realtà non è la guerra in sè, perché le conseguenze sul commercio globale sono irrilevanti, tenendo conto anche dei corridoi aperti con la Turchia per le esportazioni di grano, concimi, gas e petrolio. Ma sono gli effetti delle sanzioni imposte dagli Usa ed applicate dai maggiordomi. Però l’insofferenza nei confronti di questa arroganza imperialista cresce, si diffonde. Anche se i chierici della disinformazione italiana non se ne accorgono.
I cinesi, invece, ne sono perfettamente consapevoli. E sono obbligati a cercare alternative al mercato europeo in declino. Certo non scomparso, ma alle prese con difficoltà crescenti per la concorrenza sleale degli Usa. E per l’anno in corso si ipotizza già un Pil in aumento di oltre 4% per Pechino. Indispensabile per ridurre una disoccupazione giovanile a livelli troppo alti, benché nettamente inferiori rispetto alla media italiana.