Tra il 2000 ed il 2019 il Pil di Torino è calato dello 0,6%. Nello stesso periodo le altre città metropolitane del Nord hanno registrato una crescita del 17,3%. A livello pro capite il PIL torinese è franato del 3,4% mentre nelle altre grandi città del Nord è aumentato del 9,2%. I dati sono quelli ufficiali di Banca d’Italia. Ma il quadro fornito da Cristina Fabrizi e Silvia Anna Maria Camussi è ancora più sconfortante perché non si limita a questi dati.
Perché emerge una “bassa produttività totale dei fattori, un indicatore di efficienza con cui vengono combinati gli input produttivi e che dipende, tra l’altro, dalla governance delle imprese, dalla capacità innovativa e dalla qualità del capitale umano”. Tradotto significa che la classe imprenditoriale è men che modesta, che è taccagna e non investe per innovare, che è taccagna e non investe neppure per migliorare il livello dei lavoratori.

Non a caso l’occupazione in Piemonte non ha ancora raggiunto i livelli del 2019 – proprio a causa della situazione torinese che abbassa la media regionale – mentre li ha superati sia in Italia sia nel resto del Nord. Però gli imprenditori con il braccino corto si lamentano per la difficoltà di reperire manodopera con qualifiche medio alte ma non fanno un plissé di fronte al dato che sottolinea come – a parità di mansioni e di struttura produttiva – i lavoratori in Piemonte sono pagati meno rispetto al resto del Nord Italia.
Il risultato complessivo è non solo un deterioramento della competitività di Torino sotto l’aspetto industriale, ma anche un profondo scadimento della qualità della vita. Con una evidente riduzione del potere d’acquisto delle famiglie. E sono ridicole le dichiarazioni degli imprenditori che si vantano di aver aiutato i propri dipendenti ad affrontare la crisi quando, in realtà, tutti gli aiuti messi insieme coprono una piccola parte degli aumenti affrontati dalle famiglie per l’inflazione.
Problemi contingenti che si sommano a problemi strutturali. Nell’indifferenza della politica, nel disinteresse di una imprenditoria priva di idee e di coraggio.