La scomparsa di Pino Caruso ha riportato indietro la memoria non solo ai tempi delle speranze giovanili, ma ai momenti storici di una politica che era satira vera e seria goliardia.
Erano gli anni delle Tribune Politiche durante le quali i rappresentanti dei partiti, compassati e gentili, si passavano la parola con uno stile ormai dimenticato.
“Il Borghese”, epico periodico sul quale la penna di Gianna Preda alternava l’approfondita e graffiante analisi politica ai testi ironici e taglienti de “Il bagaglino”. A pensarlo adesso, quel tempo, appare – perché era – eccezionale. La Destra del varietà, della cantina fumosa, della cultura elitaria e popolare, un mix scomparso e ridotto a sputtanamento, caciara e sarcasmo plebeo.
Mario Castellacci, con la sua trasgressione canora, ci aveva gonfiato petti e polmoni: “Le donne non ci vogliono più bene/perché portiamo la camicia nera”; era l’inno dell’autoemerginazione e dell’orgoglio del vinto.
Mentre Pino Caruso declamava “Il mercenario di Lucera”, la grande Gabriella Ferri dedicava una nenia a Che Guevara: niente ostacolava il riconoscimento dell’Altro in una atmosfera di comprensione di rispetto.
E poi Pippo Franco, per tutti il divertente cabarettista, il comico di avanspettacolo, ma per alcuni anche il cultore dell’esoterismo e del pensiero tradizionale, autore di “Pensieri per vivere” delle Edizioni Mediterranee, un percorso interiore da Gurdjieff a Ouspensky a Osho per la “conoscenza di sé” e un “traguardo di guarigione”.
E ancora Oreste Lionello, e Leo Valeriano, il mitico cantautore di “Budapest” e de “La canzone per l’Europa”. E tanti e tanti altri artisti poi diventati famosi.
Quegli anni la Destra era cultura a tutto campo, era avanguardia intellettuale, era una dissidenza di alto livello: come stile, come spessore, come altezza.
Ad un certo punto la comunicazione cambiò, e tracollò nello squallore attuale. Prima, le armi della critica si degradarono a critica delle armi: il sangue sparso rinforzò il sistema e gli opposti estremismi santificarono con i morti reciproci la fine della dialettica e l’inizio della palude parlamentare.
Per una serie di coincidenze storiche la Destra finì al potere ed entrò nel Palazzo. Non abituata alle stanze ovattate e ai pranzi di gala, finì per appropriarsi dell’argenteria e nella foga narcisistica perse il senso della realtà.
La cultura, tutta, è scomparsa. Oggi ci si informa, anche male, e ogni approfondimento è noia trascurata. La televisione è imbonimento e l’avanspettacolo, squallido e spudorato, è quello dei talkshow, dell’esibizione di ignorante aggressività e di spietato gossip da buco della serratura.
Non più il mercenario di Pino Caruso, con una bottiglia e un’oncia di tabacco nel tascapane, i soldi buttati a puttane e la bandiera fatta da guepieres, ma una diffusa puttaneria mentale, esibizionismo di dubbia ricchezza e di sospette marchette.
Addio Pino Caruso. Ora la fedina nera serve per la carriera, senza rischio di morire nel Basso Congo.