Piove. Finalmente il tempo si è rotto, e l’afa della tarda estate ha ceduto il posto alla pioggia e ad un vento fresco. Un vento già profumato d’autunno, ché non manca poi molto all ‘Equinozio, e le tenebre si allungano sempre di più. Al mattino in particolare. Quando l’ Aurora si fa attendere, ed è solo un baluginio rosato in un orizzonte oscuro. Sino a pochi giorni fa, era un fulgore abbagliante.
Profumi dell’Equinozio. È ancora la stagione finale dei fichi. E comincia quella dell’uva. O, per lo meno, così dovrebbe essere secondo Natura. Ma le tecniche moderne, la globalizzazione dei trasporti e dei traffici, hanno sconvolto da tempo l’ordine delle stagioni. E omologato sapori e odori.
Comunque, piove. Ardengo Soffici ha scritto che le due cose più pure e sante sono il profumo del pane appena sfornato e l’odore della Terra bagnata. Non so dire da quale opera venga questa citazione. Me la ricorda il post di un’Amica. Penso al Soffici già strapaesano, dopo la fase convulsa e vulcanica delle prime Avanguardie. Futurismo e Cubismo, fra le quali restò sempre sospeso. Il Soffici che, nella maturità, seppe dar voce allo spirito popolare, volutamente plebeo, di una certa Italia. E, sopratutto, della sua Toscana. Riscoprendo, lui che era vissuto nella Parigi magmatica del primo ‘900, il senso della terra. E le radici.
Però l’ odore della terra bagnata qui giunge attenuato. Confuso con altri. Molto meno puri e santi. Quello dell’asfalto, di polvere bagnata, che dá una sensazione vagamente soffocante. Quello dei cumuli di immondizie che stanno sommergendo la Città. Odore dolciastro e acre. Un tanfo di morte. Mi ricorda il D’Annunzio dell`Alcyone, “Nella Belletta”, dai Madrigali dell’estate. Solo che quella dolcigna afa di morte del pieno agosto sapeva di pesche mèzze e miele guasto, non era bagnata di pioggia. E non esalava fetore di cibi guasti e decomposti, di escrementi, cartoni fradici, plastica bruciata…
Già, D’Annunzio…. La pioggia mi riporta sempre a lui. Nessuno ne ha saputo ridare, come lui, le sensazioni. Tattili, sonore, olfattive, oltreché visive. Solo che qui non c’è un Pineto. Solo una vecchia magnolia. E quattro alberi stenti nel giardinetto incolto di fronte a casa. Dai quali, dall’alba al tramonto, in questi giorni giunge il richiamo sonoro, vagamente ossessivo, degli stormi di storni che si adunano per migrare.
E non c’è, soprattutto, alcuna Ermione. Non dirò “Se Dio vuole”, come fa Montale nella sua rivisitazione in Satura. Rivisitazione satirica, appunto, quasi parodistica. A lui, evidentemente, Ermione, che è poi la Donna, non mancava. Gli interessavano le donne reali, non il Femmino eterno che, talvolta, rivedi incarnato. Montale continuò per tutta la vita a camminare lungo un rovente muro d’orto. Senza poter vedere al di là di quei cocci aguzzi di bottiglia. D’Annunzio invece vedeva. E quindi sapeva. Video, en latino, significa entrambe le cose. Ed Ermione era donna reale, la Duse. E, al contempo, figura mito, fusa con la Natura. Natura essa stessa. Il più vicino a comprendere Dante. Anche se per una via diversa. E tortuosa.
Comunque, piove. Dalla terrazza riesco ad avvertire il terreno del campo dove, talvolta, gioca mio figlio, profumare. Il profumo di terra bagnata. Mi entra nelle narici. Afferra e monopolizza, per un attimo, tutti i miei sensi. E scende al cuore.
Aveva ragione Soffici. È puro. E santo.