Al di là dell’osceno spettacolo offerto dai media italiani zerbinati di fronte a Sua Divinità – uno spettacolo che offre la migliore delle risposte alle domande sulla crisi irreversibile del giornalismo nostrano – la crisi di governo pone un dubbio a cui bisognerà fornire una risposta, prima o poi: qual è il ruolo della politica in questa espressione geografica senza più il collante della cultura?

Se i partiti dimostrano di non essere in grado di affrontare le crisi, se in realtà non riescono neppure ad affrontare l’ordinaria amministrazione, se non sanno offrire un briciolo di competenza, se rinunciano persino alle ideologie, a cosa servono? In nome dell’emergenza trasformata in realtà quotidiana hanno rinunciato a pensare, a progettare, ad immaginare il futuro. Ed in questo la politica italiana rispecchia perfettamente la crisi di una massa di individui privi di ogni senso comunitario, di ogni appartenenza. Ma anche di ogni sogno che vada al di là della propria sopravvivenza.
“Per duemila anni l’Italia ha portato in sé un’idea universale capace di riunire il mondo, non una qualunque idea astratta, non la speculazione di una mente di gabinetto, ma un’idea organica, frutto della vita della nazione, frutto della vita del mondo: l’idea dell’unione di tutto il mondo, da principio quella romana antica, poi quella papale.
I popoli cresciuti e scomparsi in questi due millenni e mezzo in Italia comprendevano che erano i portatori di un’idea universale, e quando non lo comprendevano, lo sentivano e lo presentivano”.
Un inno al passato di un’espressione geografica che sapeva conquistare il mondo benché priva di uno Stato. Un inno di Dostevskij che proseguiva sottolineando che “la scienza, l’arte, tutto si rivestiva e penetrava questo significato mondiale”. Poi, secondo lo scrittore russo, tutto è stato perduto. Ed eravamo nel XIX secolo. Sono rimaste le illusioni, incise sul marmo dell’Eur, di essere un popolo di eroi, di artisti, poeti, di navigatori quando, in realtà, questo è il popolo dei nullologi, dei Saviano, dell’8 settembre, delle cozze da spiaggia.

Un popolo così può meritarsi qualcosa di meglio rispetto a ministri come Azzolina, Fedeli, Moratti, Gelmini e Bussetti? Come Gualtieri, Fornero, Brunetta? Tecnici, politici, tecnici di riferimento dei politici: cambiano le definizioni, il livello non cambia.
Industriali impegnati a pietire denaro pubblico più che ad investire i propri soldi nelle proprie aziende; sindacati che tutelano gli assenteisti cronici; professionisti che ignorano ogni aggiornamento professionale; artigiani di assoluta banalità che si sentono la reincarnazione di Cellini o di Donatello; cuochi di basso livello che pretendono le 3 Stelle Michelin perché hanno ottenuto una recensione positiva da un cugino giornalista sportivo; docenti universitari di abissale ignoranza; esperti di virus che fanno a gara per chi si contraddice più volte nell’arco di 24 ore.

La politica dovrebbe ovviare a tutto questo. E, invece, ha scelto di essere espressione dello squallore generale. Di rappresentare lo sfacelo italiano. Sperando che Sua Divinità trasformi la zucca in carrozza e che a mezzanotte non torni tutto come prima.
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