Nel corso di un recente convegno per la presentazione di un libro sulla laicità, l’autore del saggio, Tullio Monti, e l’interlocutore Roberto Mastroianni hanno ricordato l’importanza dei loro incontri giovanili con politici allora importanti che, a tavola, si incontravano per discutere non di nomine e cooptazioni ma di grandi temi sociali, filosofici. Il che non significa che, in altri contesti, le stesse persone non si occupassero di nomine e cooptazioni. Ma a pranzo o cena con un paio di ragazzi aspiranti intellettuali gli argomenti erano “alti”. E, soprattutto, esisteva l’abitudine a questi confronti intergenerazionali.
Certo non una novità. La storia dei grandi caffè italiani è caratterizzata da gruppi di politici, di letterati, di pittori che si ritrovavano intorno ai tavolini del Fiorio, del Pedrocchi, del Greco, del Michelangiolo e delle Giubbe Rosse. Correnti artistiche differenti, pensieri politici contrapposti. Erano i luoghi dove nascevano le idee, dove si sviluppavano attraverso un quotidiano confronto.
Certo, c’erano i politici e c’erano gli artisti, i filosofi ed i letterati. Adesso il dubbio è se gli artisti ed i letterati non si riuniscono più perché artisti e letterati non esistono più o se non esistono più perché mancano le occasioni di incontro da cui far scaturire le idee. Indubbiamente al Gambrinus uno come Saviano avrebbe raccolto i bicchieri, al Florian avrebbero evitato di infastidire la clientela mandando Murgia a raccogliere le ordinazioni, al Quadri avrebbero riservato a Scanzi un ruolo da asciuga tazzine.
Non è certo un triste fenomeno solo italiano. A Montmartre gli unici artisti di strada che si incontrano sono i caricaturisti, gli stessi che si piazzano sotto i portici di piazza Duomo a Milano o, qualche volta, sotto quelli di via Po a Torino. Passeggiando per Brera non si incontrano, ai tavolini, pittori impegnati in discussioni sul futuro dell’arte ma solo ragazzotti danarosi impegnati nel sacro rito dell’aperitivo o in un pranzo costoso e di scarsa sostanza.
Non va meglio in ambito politico. Innanzitutto perché i sedicenti rappresentanti del popolo non hanno nulla da dire e poi perché, dopo gli interventi della magistratura sulle spese dei partiti, i pranzi e le cene con militanti affamati di conoscenza non sono più scaricabili. E si tratta di una solenne sciocchezza, perché c’è molto più senso politico in una cena con pochi commensali impegnati a discutere di libertà, di economia, di storia, che non in inutili manifesti che nessuno degna più di uno sguardo.
Ma l’intervento dei magistrati è perfettamente funzionale alle strategie di un regime che vuole trasformare i sudditi in monadi isolate. Ciascuno chiuso nel suo guscio domestico, senza contatti fisici, senza sguardi complici, senza cenni di intesa tra colleghi, amici, sodali. Tutto online. Il lavoro come la spesa. In fondo si torna ai primi arresti domiciliari di massa, quando gli illusi del “andrà tutto bene” brindavano da un balcone all’altro con sconosciuti che tali sarebbero rimasti.
Non c’è confronto, non c’è discussione. Per evitare assembramenti, assicurano gli esperti del nulla. Per evitare che nascano idee, nella realtà. In fondo è solo l’ultimo passo di un cammino iniziato da tempo. La politica al bar è una reminiscenza di San Babila, quella nei ristoranti eleganti è finita con Tangentopoli, la musica nelle osterie è legata alle canzoni della piola o a quelle di Guccini.
Sono ancora aperte come un tempo le osterie di fuori porta
Ma la gente che ci andava a bere fuori o dentro è tutta morta
Qualcuno è andato per età, qualcuno perché già dottore
E insegue una maturità, si è sposato, fa carriera ed è una morte un po’ peggiore.
E allora ci meritiamo davvero Murgia, Saviano, Littizzetto o le puzzette in barattolo della youtuber Stepanka che non fa altro che seguire la strada della merda d’artista di Piero Manzoni. Se queste sono espressioni dell’arte contemporanea, è evidente che non possono essere create al tavolo di un caffè o di un ristorante. Forse nelle toilettes.