Quando si tratta di risultati elettorali, è noiosa la tiritera del giorno dopo ed è perfino più noiosa la tiritera sulla tiritera del giorno dopo: oggi è il giorno dopo, perciò, cari electomagici, vi risparmio ogni sorta di tiritera e vi affido il mio pensiero ultimo su queste ed altre pantomime elettorali.
Premetto l’ammissione, che assai mi costa, riguardo la compiutezza e l’esattezza delle valutazioni del nostro Direttore: Egli, nella sua sapienza, ha colto e sottolineato molte cose davvero giuste, all’interno del suo alto elzeviro elettorale. Io, ultimo e mignolo, vorrei uscire dal seminato aoristo e, se possibile, dedicarmi a quello un filo più generale. Vi siete chiesti quale sia il dato comune alle ultime consultazioni elettorali? Insomma, lo stigma del voto italico: il leit motiv delle maratone mentaniane? Ve lo dico io: la crescita e decrescita, pressochè fulminea, di fenomeni elettorali. Ovvero l’ascesa e discesa quasi contestuali del partito o dell’uomo del momento: prova patente di una inverosimile incostanza dell’elettorato.
Renzi e i Cinque Stelle ne sono le vittime più illustri, ma non escludo che, tra qualche tempo, alla riprova del proprio nulla ideologico, anche Salvini possa fare lo stesso capitombolo. Delle sardine transeat, perché non mi occupo di cloni, sibbene di esseri reali: tuttavia, anche loro mi paiono destinate a rapidissima attività parabolica. E qui mi ricollego al pensiero del Savio Supremo: la ragione di tutto questo consiste nell’assenza di cultura. Di una cultura purchessia: invece i temi elettorali sono, in sostanza, ridotti alla fidelizzazione e alla buona amministrazione. Ovvero, parafrasando il Vladimiro, il pane, senza le rose.
La gente vota il primo bischero di turno perché indossa una determinata felpa, perché porta determinati occhiali o usa un determinato lessico: oppure perché promette ferrovie più efficienti, marciapiedi immuni da cacche di cane o più pelo per tutti. Per questo, quando non vede arrivare i regalini, pochi maledetti e subito, si volta da un’altra parte e vota il bischero numero due, tre, quattro e così via: ignara del fatto che nessuno sia in grado di operare miracolose metamorfosi dall’oggi al domani e che chi lo promette, per solito, è un truffatore.
Perché la gente è maleducata politicamente o, meglio, è ineducata: nessuno cerca di infondere nel popolo una vera cultura della politica. Sembrerà assurdo, ma, oggi, bisognerebbe spiegare alla gente, in parole piane, Platone, piuttosto che i grafici di ottimizzazione della sanità. Così, il giorno in cui il signor Rossi votasse uno, piuttosto che l’altro, lo farebbe con convinzione: non con un’esile speranza di cascare meglio dell’ultima volta.
E, in fondo, se il PD ha vinto in Emila Romagna, lo deve proprio ai rimasugli, un po’ sfilacciati e menci, di questo modo di far politica: non soltanto a un sistema clientelare che ha invaso ogni aspetto della vita civile e che pure esiste, ma anche ai resti di una cultura politica che, per decenni, si è alimentata di mitologie e di propaganda e, insieme, di un’idea sistematica del mondo. Se non si capisce che, per durare a lungo, si devono scavare solide fondamenta, ho paura che andremo avanti un pezzo ad alti e bassi elettorali. Eppure, bastava leggere Gramsci…