Nei sogni, talvolta, mi capita di trovarmi di fronte ad una… porta.
I sogni, si sa, sono strani. Sempre e comunque. Perché possono riflettere, almeno in parte, la realtà. Ma sono…altro. Le cose ordinarie, usuali, assumono un significato diverso. Forme inquietanti. E i luoghi diventano estranei anche quando sono, o meglio sembrano ben noti.
Il sogno è un’altra dimensione dell’esistenza, della quale, normalmente, non siamo coscienti. Anzi, molti sostengono di non sognare mai. O, per lo meno, di non serbare memoria di ciò che hanno segnato.
Eppure, la dimensione del sogno ci appartiene, come quella della realtà ordinaria. O noi le apparteniamo. Perché, in fondo, siamo fatti della stessa sostanza dei sogni. Come dice Prospero. Il mago della Tempesta. E forse lo disse davvero sir John Dee, il grande mago elisabettiano, che Shakespeare aveva probabilmente conosciuto. E alla cui figura si ispirò…
Ma veniamo alla Porta. Mi capita abbastanza spesso di vedermela davanti. In sogno. Ogni volta è diversa. Forse per le suggestioni di cose viste, o solo lette, durante la vita di veglia. Una volta è una vecchia porta di legno, mezza rosa dai tarli. Forse, e sottolineo il forse, è il ricordo della porta di un albergo-rifugio di montagna. Dove mi capitò di pernottare, in un sacco a pelo. Una vita fa….proprio il giorno prima vi stavo pensando. Fotografie di montagne, di quelle montagne, intraviste scorrendo fb.
Altre volte è un grande portale. Pesante. Di color bronzo cupo. Mi ricorda il portone dell’università vecchia, a Trieste. Vicina alle rive. In stile Asburgico. Lo stesso bronzo cupo che domina, a Vienna, nella cripta dei Cappuccini…la visitai molti anni fa. Incombente. Solenne e angosciante. Mi sembrava di essere dentro le pagine del romanzo di Joseph Roth. Il secondo della saga della famiglia von Trotta.
Il portone dell’Università dava su un grande atrio oscuro. Di lì uno scalone portava ai piani. Distribuiti in modo irregolare – su alcuni pianerottoli si affacciavano anche appartamenti privati – ospitavano i diversi istituti di Lettere Antiche. Storia, Archeologia, Letterature e filologia greco – latina. Glottologia, con le pareti coperte di librerie cariche all’inverosimile di anastatiche e volumi pesantemente rilegati. In tutte le lingue del mondo. O, almeno, questa era la suggestione che ti lasciava… Poi, giù per una scaletta di legno, un’altra porta, stretta e bassa. Perennemente chiusa, per quello che ricordo. Il, misterioso, Istituto di Studi Micenei.
Erano gli anni in cui avevo scoperto i racconti de Borges. La Biblioteca di Babele. Il Labirinto. Anche lì, dietro a quel portone di bronzo, mi sembrava di entrare in un altro mondo. In un’altra dimensione.
Altre porte, viste nei sogni. Una sorta di arco romano. Alto e imponente. Bassorilievi che stentavo a decifrare con lo sguardo. Era buio. O meglio, una luce sulfurea. E, poi, le figure sembravano…muoversi. Forse perché la sera prima avevo letto del, cosiddetto, Arco di Giano. Che, certo, storicamente doveva immettere in una sorta di mercato, ove operavano soprattutto mercanti e prestatori di denaro. Però quel nome… Arco di Giano. E Giano è il Bifronte. Guarda il passato, e con l’altro volto contempla le, innumerevoli, possibilità del futuro. È il Dio degli inizi. E, quindi, delle porte. Janua, in latino, significa proprio questo. Porta.
Innumerevoli le porte sognate. Delle più varie fogge. Alcune mi incutono timore. Un senso, vago, di ansia. Altre sembrano aprirsi, o meglio promettono di aprirsi su una qualche speranza.
Comunque, rappresentano sempre un presagio. Un ricordo, certo….ma anche un mutamento.
Al di là vi è, certo, qualcosa. Anche se mi resta ignota. Per ora.