“Se magna!” mi sembra di sentirle le urla di giubilo del Boro e dei miei coatti. Anche se la scuola è chiusa, le aule vuote…e qui mi viene in mente la poesia del buon Gozzano, che quanto a melassa sentimentale non ha uguali. Però, in questo momento, non mi disturba. Anzi… sarà l’atmosfera natalizia, le lucine sull’Albero, il presepe, i gatti che ronfano tra i pacchi dei regali scartati con foga da mio figlio sul far dell’alba e buttati, ora, lì alla rinfusa, un trionfo di carte dalle decorazioni sgargianti, di nastri, fiocchi, rametti di (finto) vischio…
E poi le aule vuote incombono, sul nostro futuro, come una sorta di minaccia. I grandi scienziati, quando non si esibiscono in grottesche, e indecorose, parodie di Carole famose, minacciano nuove chiusure, lockdown, Dad e altre carognate… Tanto gli italiani, ovvero questo volgo disperso che nome non ha (Manzoni aveva vista lunga) sono proni e pronti a tutto subire. Pur di sperare di non morire. Una squallida farsa.
E allora, come dicono i coatti, Se magna!
Cenone della Vigilia e Pranzo di Natale. Un tempo segnavano una linea di demarcazione geografica. Da Roma in giù, Cenone. Al Nord, Pranzo di Natale. Demarcazione oggi azzerata. Cenone e Pranzo sono, ormai, ubiqui in tutta la Penisola, isole comprese. Perché, alla fine agli italiani non resta che mangiare. Tranne i soliti, pochi, privilegiati. Che dalla vita hanno altro. Nonostante la “pandemia”. Anzi, forse proprio grazie a questa…
Comunque, anche se viviamo un’età caotica, e pranzi e cenoni si confondono, restano, devono restare alcuni punti fermi. Ovvero piatti che sono tipici del Natale. E senza dei quali questa sembrerebbe davvero una, tetra, Quaresima….
Chiaramente tutto è condizionato da tradizioni locali. Che i più tendono ancora a seguire, almeno per il desco delle feste. Anche se, sempre più, tra gli snob, sta prendendo piede il Sushi. Per tacere dei vegani… è Natale, e bisogna essere caritatevoli.
Dunque, la Vigilia andrebbe di magro. E così era un tempo. Ora, per mangiar di magro, si intende il pesce. In tutte le sue declinazioni. Soprattutto quelle che tanto di magro proprio non sono. Perché a definire tali capitone in umido, fritture di pesce e verdure, orate all’acqua pazza, spaghetti ai frutti di mare varii, ostriche, tartufi, capesante gratinate et similia…beh ci vuole un bel coraggio, oltre che molta fantasia…
Una volta sì. Una volta la Vigilia andava di magro. Piatti poveri. Ricordo i bigoli in salsa della mia infanzia. Cipolle soffrite, acciughe. Bigoli scuri. Una manciata di pinoli e uva passa. Alla fine, spadellati, una spolverata di pangrattato. E di secondo magari bisato sull’ara. Ovvero Anguilla alla griglia. O baccalà in umido. O mantecato, ma, questo, preferibilmente, come antipasto. Insieme alle sarde in saor… Oddio, a ripensarci, neppure questo era un esempio di astinenza. E devoto digiuno.
Tuttavia, nella mia memoria, resta più vivido il pranzo del 25. La più grande abbuffata dell’anno. Al confronto Pasqua e Ferragosto sembravano due merende. Roba da far sembrare sobri i protagonisti della Grande Bouffe di Ferreri.
Si deve sempre partire con gli antipasti. Salumi a gogò. Tanto per stimolare l’appetito. Poi le paste. E qui c’è solo da sbizzarrire immaginazione e creatività.
Cappelletti in brodo, cappellacci di zucca col ragù, ravioli ripieni di magro o con arrosto, parmigiano ed erbette…tortelli, tortellini, casunziei coi semi di papavero…. E ancora lasagne, timballi, cannelloni, pasta al forno…
Il trionfo delle farciture più diverse e dei sughi. Che, un tempo, erano cosa rara. Eccezionale. A evocare l’attesa e la speranza in un’abbondanza futura. Abbondanza di raccolti, certo, in società ancora agricole. Ma anche un altro tipo di ricchezza, di cui i ricchi ripieni e condimenti erano simbolo.
E poi il piatto forte. I tagli di bollito, cappone lesso e arrosto ripieno. L’oca, il fagiano… E i brasati cotti nel vino, gli stufati con trionfi di verdure. Il Maiale. Zampone, cotechino, bondiola, cappello del prete, salama da sugo….antiche offerte sacrificali, ora ridotte a solo cibo.
E mi taccio sui dolci.
Cenoni, pranzi… Ciò che resta di quelli che un tempo erano banchetti rituali. Agape sacra, legata, indissolubilmente, alla sacralità del momento. Momento in cui lo scorrere ordinario dei giorni sembrava fermarsi. La sabbia risalire nella clessidra. E la dimensione dell’eternità si svelava. C’era di che gioire. Di che festeggiare davvero…
Di tutto questo, ora, è restato solo il grido
“Se magna!”
1 commento
ti leggo sempre con grande piacere.. buon Natale