Bèh, ci siamo. È giunta l’ora fatidica di pensare al… pranzo di Natale. E qui, subito, emerge il primo dilemma. Cenone della Vigilia, o Pranzo del giorno di Festa?
Due diverse scuole di pensiero. Che, nel nostro paese, rappresentano due distinte aree geografiche. Pranzo al Nord. Cenone al centro sud… con le doverose eccezioni, naturalmente.
Ho detto rappresentano….ma meglio avrei fatto a scrivere rappresentavano. Perché le due tradizioni si sono sempre più frammiste. E, nel Tempo, è diventato sempre più comune fare sia Cenone che Pranzo. Un po’ per trascorrere la Vigilia con gli amici e il Natale in famiglia. Un po’ per accontentare, in caso di coppie sposate con prole, le famiglie di origine di entrambi i coniugi, che altrimenti privilegiando una rispetto all’altra si gettano le basi per fare felice qualche avvocato divorzista… oddio, si potrebbe ovviare riunendo tutti i nonni allo stesso desco festivo, come faceva mia madre. Ma è sempre più difficile. Anche perché giovani spose pronte a passare la giornata ai fornelli…. Ci sarebbe sempre l’asporto. Gastronomia e rosticceria. Però, diciamo la verità… è cosa che fa un po’ di tristezza.
Perché, pranzo o cenone, a Natale è bello cucinare in casa. Mette allegria. Fa sentire più viva, e calda, la festa.
E poi le gastronomie sono ormai (quasi) tutte standardizzate. Non parliamo, poi, di quelli che ordinano da McDonald’s. O dal cinese, come in una pubblicità di qualche anno fa… dovrebbero essere espulsi da ogni contesto civile. E isolati in Patagonia.
Ma, comunque, da una gastronomia puoi prendere le solite lasagne, con qualche variante. Pesce per la vigilia, soprattutto. E poi cappone o tacchino con castagne per il giorno di Natale. Qualche contorno. Panettone e/o Pandoro…un po’ di frutta secca. Lo spumante…e anche questo Natale ce lo semo tolti dai….
Ma dovrebbe essere altra cosa. Completamente diversa. Perché il cibo – lo so, Direttore, l’ho già scritto più volte – è cultura. Parte integrante di una cultura. E perdere il gusto, le tradizioni, significa abiurare una parte della nostra storia. Una parte non secondaria…
Se sulla tavola di Natale porti il Timballo di Bonifacio VIII – tagliolini di pasta fresca, conditi con ragù di regaglie, funghi e polpettine, il tutto avvolto in fette di prosciutto crudo dolce – tu evochi i conflitti tra guelfi e ghibellini, una stagione cruenta. Illuminata dall’arte di Giotto. E dalla poesia di Dante.
Se alla Vigilia, accanto a trionfi di pesce, insalata di piovra, frittura mista, grasso capitone in umido, servi l’umile e amarotica scarola – imbottita, come dicono in Irpinia, con uva passa, olive, noci, pinoli, olive, olio e tanto pepe – tu stai entrando nel mondo, perduto, del Bel Regno delle Due Sicilie. La musica dì Paisiello, la sapienza segreta di Raimondo di Sangro, la fantasia irrefrenabile del “Cunto de li cunti” del Basile…
E se, nella cena di magro – non il Cenone – prepari i bigoli in salsa, con soffritto di cipolla bianca di Sant’Erasmo, acciughe, pinoli, uvetta (ma non dimenticate una spolverata di pan grattato, parmigiano dei poveri) devi immaginare Goldoni che li assaporava di gusto, mentre scriveva “La locandiera”. E Casanova che, anche lui, se ne saziava felice prima di… bèh, inutile spiegare.
E che dire del pasticcio di maccheroni con ragù bianco al tartufo, e crosta dolce? Tradizione di Ferrara, insieme alla, rara, salama da sugo. Ariosto doveva assaporarla mentre sognava la bellezza di Angelica, e il volo di Astolfo a cavallo dell’Ippogrifo…
E degli struffoli napoletani, delle carrellate pugliesi, di tutti quei dolci al miele che sono lascito vivo dello splendore della Magna Grecia?
E del più noto Panettone? Che fece la sua comparsa sulla tavola di Natale di Lodovico il Moro. E che, con ogni probabilità, venne assaggiato da Leonardo e Bramante. E, con loro, dal genio di Luca Pacioli. Genio poliedrico, e, soprattutto, matematico. Lo stesso da Vinci gli doveva molto. E, forse , i due discutevano della Sezione Aurea, servendosi abbondanti porzioni di patè di fegato e di nervitt, in insalata con le cipolle. Uso natalizio antico della città di Sant’Ambrogio…
Pranzo o Cenone. L’Attesa dell’avvento, e la Festa perché la profezia si è compiuta. Andrebbero celebrati come ci insegnavano gli usi dì un Tempo. Con il riso alla Cantonese, o il tacchino del Ringraziamento bèh… perdiamo qualcosa… anzi, molto. Nel gusto. E non solo.