“Prevale la mediocrità. Nella maggior parte dei casi emerge una profonda inadeguatezza per il proprio ruolo e una generale incapacità di rendersene conto. Manca drammaticamente il talento di leggere con oggettività la realtà e se stessi e questo è un disastro”. Un quadro, ancora una volta, imbarazzante della situazione torinese. Della classe dirigente in particolare. E poco importa se, in questo caso, il riferimento è ampliato ai vescovi piemontesi nel loro complesso. Un riferimento contenuto nel libro “Lo scisma emerso” di Francesco Antonioli e Laura Verrani.
Autori “progressisti”, ma un’analisi che è ormai assolutamente trasversale e che riguarda l’intera classe dirigente subalpina: politici, imprenditori, sedicenti intellettuali, manager, sportivi. Qualcuno di loro è riuscito, nonostante una manifesta incapacità, a far parte dell’oligarchia che sta divorando Torino. Gli altri si accontentano di un invito a cena per raccogliere le briciole lasciate dai parassiti al potere. E la mediocrità che prevale, come indicano i due autori del pamplhet, non ha nulla di aureo. Ma tanto di squallido.
Ed è inutile illudersi che le rare eccezioni di qualità – perché ne esistono anche a Torino ed in Piemonte – possano invertire la sempre più rapida discesa verso il baratro. Né in ambito politico né in quelli imprenditoriali o culturali. Il male genera il peggio.
Non basta illudersi di dar vita ad una “Tav Valley”, che valorizzi le eccellenze del territorio in collaborazione con Lione, quando le eccellenze da valorizzare non ci sono. Di fronte ai dati del Cnr che giustificano la fuga all’estero dei ricercatori italiani, perché sottopagati rispetto ai colleghi che svolgono lo stesso lavoro negli altri Paesi europei, gli imprenditori subalpini hanno come sempre glissato. D’altronde evitano accuratamente di commentare analoghi dati relativi alle retribuzioni milanesi in rapporto a quelle torinesi.
Ma è l’intera città a tacere di fronte ad ogni ritardo, ad ogni inefficienza, ad ogni dimostrazione di incapacità delle classi dirigenti. Guai ad interrogarsi sulle motivazioni del declino. Perché significherebbe mettere in dubbio la narrazione su inesistenti primati degli ultimi decenni. Significherebbe non credere alla Busiarda quando raccontava che Torino, in ambito turistico, aveva superato Venezia. Significherebbe non credere a chi racconta che le folle dei turisti internazionali arrivano a Torino per visitare i musei d’arte contemporanea e non i palazzi sabaudi o che preferiscono passeggiare nei pittoreschi quartieri in mano agli spacciatori invece che sotto i portici architettonicamente fascisti di via Roma.
Significherebbe mettere in dubbio che la Fiat abbia acquistato Psa e non viceversa; che il governo dei Migliori abbia una folta rappresentanza subalpina; che la produzione culturale torinese sia apprezzata nell’intero Pianeta ed anche su Marte; che vivere in Barriera di Milano o in Borgo Aurora sia meraviglioso e sicuro; che i giovani stranieri che si laureano a Torino facciano carte false pur di restare in città con stipendi ridicoli.
Ma, soprattutto, significherebbe mettere in dubbio il ruolo dei “prestigiosi licei subalpini dove hanno studiato….” e via con l’elenco dei soliti nomi. Il falso mito della Torino azionista, nel senso di Partito d’azione, trasformato nel mito da inventare della Torino che si entusiasma per gli esponenti locali di Azione, il partito di Calenda. “Prevale la mediocrità”, come sostengono Verrani ed Antonioli.